1000€ per un pranzetto semplice: scandalo sulla costiera Italica | Hanno ordinato solo un primo, appare la finanza
Tavola apparecchiata (Pexels) - Corrieredicomo.it
Un primo piatto è costato talmente caro che le persone hanno pagato 1.000 euro per consumarlo. Chiunque ha gridato allo scandalo.
L’Italia è universalmente riconosciuta come la patria di una delle cucine più amate e celebrate nel mondo.
La sua gastronomia, che spazia dalla semplicità dei piatti regionali alla raffinatezza delle creazioni d’alta cucina, ha la capacità di incantare chiunque con la sua autenticità, la qualità degli ingredienti e la profondità dei sapori.
Un’esperienza culinaria italiana è spesso sinonimo di gioia e convivialità, un viaggio sensoriale che giustifica il desiderio di milioni di turisti di visitale la Penisola.
Tuttavia, questa magia gastronomica, pur essendo innegabile nella sua bontà, può talvolta lasciare l’amaro in bocca, non per il cibo in sè, ma per il prezzo che viene presentato alla fine del pasto.
Un pasto che ha dello scandaloso
Il settore della ristorazione italiana è stato più volte al centro dell’attenzione mediatica a causa di episodi in cui i prezzi praticati hanno sollevato indignazione e dibattito. Casi emblematici sono emersi in diverse località turistiche.
Ad esempio, a Forte dei Marmi, un ristorante ha fatto pagare 90 euro per un semplice piatto di tagliatelle all’astice, un prezzo giudicato da molti eccessivo. Similmente, in Sardegna, due turisti a San Teodoro hanno sborsato 18 euro per due panini al salame e due caffè, suscitando clamore per il costo sproporzionato di un pasto veloce. Non meno diversa è l’introduzione, da parte di un ristorante di Ortisei, di una particolare tassa di 3 euro per ogni piatto vuoto, giustificata dall’assenza del costo del coperto. Questi episodi, che hanno fatto il giro del web, hanno preparato il terreno per situazioni ancora più estreme, come quelle in cui il conto ha sfiorato la cifra di 1.000 euro per un unico pasto.

1.000 euro per un pranzo
Davanti a scontrini percepiti come ingiusti o esagerati, la reazione più comune è stata quella di un’accesa polemica tra clienti e commercianti, con i primi pronti a invocare l’intervento della Guardia di Finanza e i secondi fermi nel sostenere la legalità e la giustificazione dei prezzi in virtù della qualità, del servizio e dell’efficienza offerta. Il caso più eclatante in questo senso riguarda la protesta di quattro turisti in vacanza a Ponza. Dopo aver ordinato quattro primi a base di aragosta e due bottiglie di vino presso il ristorante Il Rifugio dei naviganti, è stato loro presentato un conto da 923 euro, ovvero circa 230 euro a persona.
Lo scontrino ha fatto rapidamente il giro del web e indignato gli utenti. Tuttavia il ristoratore si è subito difeso con la stampa, chiarendo che i prezzi erano trasparenti e giustificati. Un articolo di “Dentrolanotiziabreak.it” ha riportato le sue parole. “I prezzi sono questi, l’aragosta costa 230 euro chilo. Noi la portiamo viva al tavolo e la mostriamo ai clienti, che in questo caso hanno scelto aragoste da 825 grammi a persona. Quanto le facciamo vedere c’è l’etichetta con il peso.” In questo frangente, la legalità si scontra con la percezione di equità, lasciando al consumatore la scelta di accettare il lusso a ogni costo.
