Emergenza Coronavirus,tutti vogliono ripartire, ma nessuno sa come. E c’è pure chi scrive il falso cronoprogramma

Emergenza Coronavirus,tutti vogliono ripartire, ma nessuno sa come. E c’è pure chi scrive il falso cronoprogramma

Allentare, riaprire, lasciare tutto com’è adesso. La fase 2 dell’epidemia è un gigantesco punto interrogativo.Soprattutto perché gli esperti, coloro i quali dovrebbero dire una parola più convincente delle altre, sono attualmente senza certezze.La giornalista scientifica Roberta Villa, che in queste settimane ha scremato spesso le bufale che inevitabilmente si sono accumulate in quantità industriale su tutta l’evoluzione della pandemia, è molto esplicita: «In questo momento è davvero difficile dire che cosa succederà. Bisogna soppesare con molta attenzione gli effetti di una riapertura, effetti che sono pericolosi. Il rischio zero non esiste, dobbiamo metterci in testa di tornare a un’epoca del rischio, simile a quella in cui erano presenti malattie quali la poliomielite o la difterite».La pressione per sbloccare il lucchetto della clausura è fortissima. Se ne fa interprete soprattutto Confindustria, ma anche una parte della politica chiede di rivedere l’insieme delle restrizioni. Il punto però è un altro: qual è il margine di sicurezza che permette di dire sì a una ripartenza?«Restare chiusi non è indifferente – dice ancora Villa – per l’economia, certo, ma anche per la salute. La condizione di reclusi è problematica anche sul piano psicologico. Bisogna sicuramente trovare il modo di fare qualcosa ma con molta prudenza». Il direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), Tedros Adhanom Ghebreyesus, l’altroieri ha parlato proprio dell’allentamento delle misure di restrizione, il cosiddetto lockdown. Spegnendo molti entusiasmi. «Queste misure devono essere revocate lentamente – ha detto – Non può avvenire tutto in una volta. Gli obblighi di controllo possono essere revocati soltanto se sono in atto le giuste attività di sanità pubblica, compresa una significativa capacità di tracciare i casi». Lo stesso Ghebreyesus ha poi reso noti i «6 punti della road map» ipotizzata dall’Oms per poter avviare un progressivo abbassamento delle restrizioni: 1. avere la certezza che la catena della trasmissione del virus sia sotto controllo; 2. essere certi che il sistema sanitario sia attrezzato per rilevare, testare, isolare e trattare ogni caso e rintracciare ogni contatto; 3. ridurre al minimo i rischi di epidemia in contesti speciali come le strutture sanitarie e le residenze sanitarie; 4. attuare misure idonee per la prevenzione nei luoghi di lavoro, nelle scuole e negli altri luoghi più frequentati; 5. avere la capacità di gestire i rischi di ritorno di casi importati; 6. avere la certezza che la comunità sia pienamente informata e consapevole di dover adottare misure e stili di vita diversi e utili alla prevenzione del contagio.A ben vedere, la Lombardia – al momento – non soddisfa nessuno dei sei punti della road map dell’Oms. Parlare di riapertura è quindi un esercizio accademico. Eppure, sono in molti quelli che insistono. Ieri mattina, in Regione, si è ad esempio insediato, su iniziativa del governatore Attilio Fontana, il “comitato dei saggi” chiamato a «discutere le fasi che seguiranno l’attuale situazione di emergenza sanitaria». Una copia in sedicesimo di quello voluto dal governo nazionale. Tra i saggi lombardi spiccano i rettori della Cattolica di Milano, del Politecnico di Milano, della Bicocca, della Bocconi e il presidente del comitato regionale di coordinamento delle Università lombarde.Sempre ieri, il presidente del consiglio regionale, Alessandro Fermi, ha proposto di «istituire in tempi brevissimi un’apposita commissione speciale o un gruppo di lavoro ad hoc, con la partecipazione dei rappresentanti dei vari gruppi consiliari, per fornire indicazioni e contributi e ipotizzare un piano di azione concreto, finalizzato ad affrontare e gestire al meglio la fase 2 dell’emergenza legata alla diffusione del Covid-19».Non sono mancate nemmeno le false notizie, costruite ad arte per alimentare la discussione. L’assessore regionale al Bilancio, Davide Caparini, ha denunciato alla polizia postale gli ignoti che, utilizzando la carta intestata della Regione, hanno diffuso una specie di cronoprogramma delle riaperture delle attività. in Lombardia. «Una vera fake new – ha detto Caparini – che smentisco categoricamente. Uno scherzo ben fatto, visto che prevede un cronoprogramma con il 31 giugno».Chi su questo argomento non intende cedere allo scherzo sono sicuramente i segretari delle tre confederazioni sindacali. Francesco Diomaiuta (Cisl), Giacomo Licata (Cgil) e Salvatore Monteduro (Uil) condividono sul punto lo stesso ragionamento, frutto peraltro di una visione unitaria.«Se guardiamo i dati della Lombardia – affermano i sindacalisti comaschi – parlare di riapertura è fuori luogo. A partire dal fatto che i contagi non diminuiscono. Dobbiamo semmai coordinarci con la comunità scientifica e con il comitato nazionale per lavorare sul “come” ripartire».Non una data, quindi, ma un metodo. Regole precise. Per salvaguardare innanzitutto la salute di chi lavora e di tutti i cittadini. «Da parte nostra – affermano i sindacalisti – c’è la piena disponibilità a discutere». A Como la realtà produttiva che si è fermata è quella più tradizionale, il tessile e il legno-arredo. Ma molte imprese hanno continuato a lavorare. Sono almeno 1.200 le aziende che hanno fatto richiesta di proseguire. «Dovremo verificare l’applicazione dei protocolli di sicurezza, ragionare sulle regole, sulle misure di protezione. E soltanto dopo decidere una data. Nessun pregiudizio, ma si torna in fabbrica per lavorare, non per ammalarsi».