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«A Brienno ancora tanti detriti sono pronti a scendere a valle»

Drammatica testimonianza del giovane scampato alla franaÈ stato l’ultimo a vedere Brienno com’era. Prima della frana del 7 luglio scorso. Prima che la grande massa di acqua, fango, detriti, massi, tronchi e alberi interi spazzasse via il centro del piccolo paese di lago, e con esso anche il ponte romanico posto proprio in mezzo al borgo. Prima che tutto questo si abbattesse sulla palazzina posta allo sbocco del valletto della Cà Nova, distruggendola.È tutto finito, adesso? Non ne è convinto, Davide Comitti: alza il dito e indica alcuni fronti

di frattura ben visibili nella parete di roccia del valletto. Sembrano tante ferite. «Ci sono ancora tanti detriti pronti a venire a valle – dice preoccupato – e più in alto, dove non si vede da qui, ancora di più».A parlare è il muratore 28enne diventato famoso, suo malgrado, per un video, ripreso dalle telecamere di sorveglianza del Comune (molto cliccato su Internet in questi giorni e anche su www.corrieredicomo.it), che lo mostra depositare il sacco con la plastica nel gabbiotto che il Municipio di Brienno ha costruito come punto di raccolta per il materiale da riciclare.Un atto abitudinario che questa volta, però, esce dalla routine per assumere un carattere di eccezionalità: perché subito dopo che Davide esce dal gabbiotto e gira l’angolo, tornando verso casa, a una ventina di metri, si scatena l’inferno. È di poche parole, Davide: cento per cento laghée, è più abituato a fare, a lavorare, che a parlare. Anche quella sera lui non si è fermato a pensare a cosa sarebbe potuto succedere se invece di riprendere la strada di casa si fosse fermato ad attendere che la pioggia battente si calmasse. Non è con i “se”, che si fanno le cose. Men che meno che si recupera da un disastro come quello che ha colpito Brienno.«Siamo subito tutti andati a vedere cosa era successo alla signora che abitava nella palazzina distrutta – dice Davide – Per fortuna aveva fatto in tempo a salire di un piano, siamo riusciti a tirarla fuori». E poi c’era da cominciare a pulire, a spazzare via detriti, fango, rocce, sassi, alberi, non era certo il caso di stare lì con le mani in mano a ripensare allo scampato pericolo. Solo nei giorni successivi ha iniziato a capire: «Per una settimana non ho dormito», ammette. È ancora lì, quello che rimane della palazzina sventrata.Oggi Brienno è pulita, la strada è di nuovo transitabile, i giorni dell’isolamento quasi completo, con un solo battello a collegare il borgo al resto del mondo, solo un ricordo.«Ci sono tanti turisti: si fermano, una foto, e poi vanno via».Mentre parliamo, nella piazzetta del paese, là dove si è scatenata la furia del torrente, accanto ai new jersey in cemento che delimitano la zona di sicurezza, sono diverse le auto – targhe italiane, tedesche, francesi – che arrivano, rallentano, guardano e se ne vanno. C’è anche chi si alza in piedi, e dalla cabriolet spinge lo sguardo sui due lati della piazza. Il turismo del disastro. «Almeno si fermassero a bere un caffè al bar, sarebbero soldi per il paese. Invece niente».«Sono stato a dare un’occhiata lassù in alto, dove tutto è iniziato. Ci è anche andata bene, perché la frana si è divisa in diversi canaloni, disperdendo la sua violenza. Se fosse venuto tutto addosso a noi…».Si poteva evitare o almeno limitare, la catastrofe? «Nessuno fa più la pulizia dei boschi, dei sentieri, dei valletti. I nostri vecchi lo facevano. Il valletto era talmente pieno che non si vedeva più nemmeno la roccia». L’eccezionalità dell’evento atmosferico, con due fronti di tempesta che si sono scontrati ed uniti, ha fatto il resto.

Franco Cavalleri

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