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Arte sacra. Patrimonio a rischio

Andrea Spiriti (Università dell’Insubria)Opere d’arte sacra a rischio. Incustodite. Spesso sconosciute. Il rischio che qualche malintenzionato, complice la crisi che aguzza l’ingegno anche ai malfattori, se ne approfitti. La tentazione di rubarle è troppo forte. Serve quindi più vigilanza. E la conoscenza del patrimonio diffuso sul territorio può essere un deterrente.Torniamo a parlarne per una serie di evidenze. Si parla sempre più di turismo culturale come volano dell’economia, certo. Ma l’episodio del clamoroso furto d’arte a Modena – un’opera del Guercino, la Madonna con i santi Giovanni Evangelista e Gregorio Taumaturgo (1639), un olio su tela di tre metri di altezza e quasi due di larghezza, rubata l’11 agosto dalla chiesa di San Vincenzo – fa tremar le vene ai polsi anche a chi ama l’arte sul Lario.

Quanti tesori potrebbero essere razziati, in una notte, nella nostra provincia, che ospita una larga fetta della diocesi lariana, artisticamente molto ricca?

Per Andrea Spiriti, docente di Storia dell’Arte all’Università degli Studi dell’Insubria, che ha di recente promosso una rivista internazionale sugli “artisti dei laghi”, «difficilmente si può pensare a sistemi di sicurezza che tutelino totalmente il nostro patrimonio d’arte sacra diocesano, vuoi perché diffuso su un territorio scosceso e spesso in chiese isolate e in zone malagevoli, vuoi perché non sempre mappato».C’è poi il problema di un oggettivo deficit di vigilanza, dovuto alla contrazione dei religiosi in diocesi. «Il venir meno progressivo dei sacerdoti, con la conseguenza della necessità di accorpare attorno a un solo ministro residente più chiese, rende, obbiettivamente, meno semplici la custodia e la vigilanza sui beni culturali – dice l’esperto dell’Insubria – E a rischio non sono soltanto i dipinti quanto l’oreficeria sacra e gli oggetti facilmente trafugabili, ossia tutto ciò che ha più facilità di smercio sul mercato».La soluzione non è univoca e non è semplice. Ma si può sintetizzare in una parola: conoscenza. «Il fatto che di un’opera conservata in una chiesa si conosca l’identikit, la rende più difficile da piazzare, una volta rubata», dice il professor Spiriti.Si veda il caso della copia di un dipinto di Caravaggio conservata nella parrocchiale di Zelbio. La notorietà del dipinto, che ha mosso persino il critico Vittorio Sgarbi a propendere per una probabile attribuzione al Merisi, la tutela di fatto da indebite sottrazioni.«Più un’opera è nota, più è difficile venderla abusivamente», chiosa Spiriti. Che suggerisce una sana politica di «accorpamenti ragionevoli nella logica di una intelligente concentrazione» che potrebbe riguardare in particolare le opere d’arte più a rischio furti, da radunare in musei diffusi sul territorio diocesano, sulla scorsa dell’aureo modello del museo d’arte sacra di Scaria, in Valle Intelvi, di prossima riapertura. «Penso, in particolare, a una rete di sezioni del museo diocesano d’arte sacra, dove esporre in modo corretto i beni, cioè con criteri museali, consentendo di accorparli per custodirli e tutelarli meglio di quanto non lo siano ora, sparsi sul territorio: peraltro, la museizzazione non è affatto ostile a un uso liturgico di tali beni, che accolti in apposite strutture potrebbero essere anche un richiamo turistico significativo».Aggiungiamo noi, anche in vista di Expo 2015.Va detto che da quasi vent’anni la Conferenza Episcopale Italiana (Cei) ha lanciato l’inventario ecclesiastico dei beni culturali delle diocesi italiane. E da dieci anni è in corso la mappatura nella nostra Diocesi. I dati sono destinati a confluire in un enorme database nazionale gestito dalla Cei. Sarà possibile conoscere analiticamente le caratteristiche, la consistenza e lo stato di conservazione del patrimonio affidato a ogni parrocchia, evidenziando anche l’eventuale necessità di restauro.Nella Diocesi di Como, l’Ufficio inventariazione beni culturali ecclesiastici, istituito nel 2000, ha trovato sede nel “Centro Studi Nicolò Rusca” di Muggiò, in via Baserga 1 (nel vicariato di Lipomo) per condurre ricerche pluridisciplinari con la Biblioteca del Seminario e l’Archivio storico diocesano. Responsabile è dal 2011 don Andrea Straffi cui spettano programmazione e coordinamento. Sono decine di migliaia le schede del catalogo. Un lavoro complesso perché la Diocesi di Como comprende anche la provincia di Sondrio e alcuni comuni di quella di Varese, quindi occorre parecchio tempo per portare a compimento un censimento così ampio. In media, l’inventario di una parrocchia richiede circa una settimana di lavoro da parte degli specialisti. In Diocesi le parrocchie sono 340, per un totale di 1.010 chiese, e ciascuna può ospitare oltre 100 opere d’arte significative. Inizialmente è stata data la precedenza ai beni artistici e storici mobili, quali dipinti, sculture, suppellettili e paramenti, in quanto maggiormente a rischio. Poi rimarrà da inventariare il patrimonio di beni architettonici.Sul sito www.chiesacattolica.it/beweb si può seguire l’andamento dei lavori di inventariazione a livello nazionale. Finora solo Pavia, Bergamo e Cremona sono disponibili online con i loro beni schedati e fotografati.

Lorenzo Morandotti

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