Il frate intelveseRoghi di streghe, nella Diocesi di Como il XVI secolo fu da record: un centinaio all’anno
La Diocesi di Como e la Repubblica di Venezia furono i luoghi in cui si bruciarono più streghe. A parlare sono le cifre: infatti lo storico comasco dell’Ottocento Cesare Cantù documentò come ogni anno il numero dei processi fosse superiore a mille e quello delle condanne a morte si aggirasse intorno alle cento unità.Tra i più noti e attivi inquisitori del XVI secolo a Como vi fu Fra Bernardo Rategno, originario di Schignano in Valle Intelvi, che nel suo celebre trattato De Strigiis
e anche nel libro Lucerna inquisitorum haereticae pravitatis, manuale per la persecuzione delle streghe nel territorio comasco, indicò gli esatti comportamenti dell’inquisitore.Secondo il domenicano, la Chiesa cattolica non riconosceva alle donne streghe un’anima, in quanto le riteneva “strumento del demonio” per la dannazione degli uomini, che cadevano in tentazione al solo vederle. Così il tribunale ecclesiastico conduceva l’istruttoria processuale e il tribunale secolare stabiliva la pena e curava l’esecuzione dell’imputato, che fosse stato ritenuto colpevole. La pena classica e maggiore per la strega, comminata dalle leggi sia ecclesiastiche sia statutarie, era il fuoco. E numerosi furono appunto i roghi accesi per volontà del fustigatore dei costumi comasco, attivo in città come predicatore prima di essere nominato inquisitore nel 1505.La sua fama è tristemente legata al fatto di essere stato uno dei più spietati persecutori di streghe, persone che abiuravano la fede cristiana e abbracciavano il demonio, mettendo in pericolo con i loro malefici sia la salute delle persone sia l’incolumità degli allevamenti e dei raccolti. Sede del suo operare era il convento di San Giovanni in Pedemonte che, come rimarca sempre il Cantù, procedeva non solo contro le maliarde, ma “inseguiva il pensatore, bruciava i libri, non solo i cattivi ma quelli che snebbiassero le menti».Gli inquisitori, dunque, non hanno sempre goduto di buona fama nel corso degli anni e sono stati definiti, ad esempio, sempre dallo storico lariano, “un corpo d’ufficiali privilegiati con patente del Vescovo a portar l’armi”, che sottoponevano gli imputati ad efferate torture, inferte con ingegnosi strumenti, ancora oggi conservati all’interno di musei.
C.F.
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