Questa mattina alle 11, in prefettura, lo Stato italiano dirà ai dipendenti del Comune di Campione di non poter più garantire loro un lavoro e uno stipendio.A un anno esatto dalla chiusura del Casinò – le coincidenze della storia fanno sempre impressione – si chiude drammaticamente anche la parabola felice del municipio dell’enclave, uno degli enti locali della provincia di Como in cui, fino a pochi anni fa, chiunque avrebbe fatto carte false per trovarvi un impiego.Campione d’Italia oggi è un deserto. Al centro del quale troneggia un gigantesco monumento al passato. Una città fantasma che domani celebra il suo funerale, con un gesto insieme ironico e disperato.Riassumere quanto accaduto dal 27 luglio dell’anno scorso, giorno in cui il Tribunale di Como sentenziò il fallimento della casa da gioco, è complicato. Servirebbe molto spazio, che non abbiamo. Nella mente di ciascuno rimangono immagini. Alcune nitide, altre meno. Istantanee della discesa agli inferi di un paese complicato e difficile, anomalo. Un pezzo d’Italia in terra straniera.La prima di queste fotografie ritrae un furgone blindato che, scortato dai carabinieri, esce a tutto gas dai garage del Casinò. Dentro ci sono 8 o 9 milioni di euro, i soldi rimasti nelle casse e portati via dai curatori fallimentari. Sui marciapiedi, i lavoratori della casa da gioco guardano increduli quel furgone. Si sentono derubati. Ma per loro l’incubo è soltanto all’inizio. La seconda immagine è una marcia colorata e in qualche modo allegra. Gente che sfila sotto il sole agostano a Como, agitando le bandiere sindacali e chiedendo la riapertura del Casinò. Un mese dopo il fallimento, le speranze sono ancora vive.Passano mesi – è la terza fotografia – quelle stesse persone sono diventate una catena. Cingono il loro paese tenendosi per mano. Chiudono simbolicamente l’accesso al grande arco che segna il confine con la Svizzera. La speranza è diventa rabbia. Ma anche, e soprattutto, paura. La quarta immagine è un grande tendone montato in piazza, all’ombra del municipio, sotto il quale Campione si raduna a lungo, freddo o caldo non importa, tentando di farsi forza. Una comunità che riscopre sé stessa, si guarda in faccia, si aiuta a vicenda. Comprende quanto sia importante la solidarietà.Un’altra fotografia – la quinta – è forse la più triste. Ritrae i grembiulini rosa e azzurri una volta indossati dai piccoli alunni dell’asilo e ora appesi sulla ringhiera del lungolago. Senza soldi l’enclave è stata costretta a chiudere la materna. Ha dovuto dire ai suoi bambini “non avete più una scuola”.La sesta immagine è stata scattata tra le quattro mura di un piccolo negozio, il banco alimentare nel quale molti sono stati costretti a fare la spesa confidando nell’aiuto di altre persone. Nel luogo in cui ogni sera si gettavano sui tavoli verdi milioni di euro è una nemesi che fa venire i brividi.L’ultima istantanea, la settima, è un cartello. C’è scritto sopra «Vendesi». È apparso un po’ ovunque, a Campione. Dove vivere costa il triplo e senza uno stipendio svizzero non ce la fai a tirare avanti. Campione è un paese in vendita.
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