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Caso Sisme, quando la baruffa scomposta mette in crisi l’azienda

L’analisi – Il rischio è che il management decida per il trasferimento all’estero delle linee produttive allo scopo di restare competitivi sul mercatoIl problema principale è quello dei costi. E, di conseguenza, dei prezzi di vendita. Oggi più che mai, con l’economia fiacca e la globalizzazione ormai esasperata, è il prezzo di vendita, e quindi i costi di produzione e commercializzazione, a fare la differenza.Lo sanno bene quasi tutti e in particolar modo alla Sisme: il colosso di Olgiate Comasco che produce parti di motori elettrici è infatti in grande affanno proprio per la concorrenza internazionale, per costi e prezzi più altirispetto ai concorrenti mondiali, per un calo generalizzato del lavoro.In questi giorni, però, sta emergendo un altro aspetto del problema, e cioè l’incapacità di mettere a punto un’azione comune tra impresa e dipendenti per tentare di salvare il salvabile.E cioè per spostare all’estero il meno possibile dell’azienda e per provare a contenere i costi di quanto rimane in produzione a Olgiate Comasco e rimanere competitivi.Le cronache sulla vicenda Sisme di Olgiate Comasco hanno infatti evidenziato abbastanza spesso una sorta di baruffa a volte scomposta, caotica: tra l’azienda e i dipendenti, tra i sindacati e l’azienda, addirittura tra le varie sigle sindacali rappresentative degli addetti. E comunque la mancanza di una unità di azione da parte di tutte le parti in causa per il bene comune.E questa ultima situazione, purtroppo, è a nostro avviso la peggiore.A ieri, infatti, si era punto a capo. Dopo sacrifici anche pesanti dei dipendenti ed esuberi concordati e contrattati, dopo trattative estenuanti e difficili tra proprietà e sindacati, dopo analisi e verifiche, la situazione è precipitata.Un muro contro muro. Un braccio di ferro. Con tanto di presidio dei dipendenti e la minaccia di far intervenire i carabinieri. Il rischio è che questi mesi di difficoltà ma anche di tentativi di trovare una via d’uscita finiscano per essere vanificati.E che l’azienda “muoia” o, comunque, smetta di “vivere” a Olgiate Comasco.In quest’ottica, ci pare abbastanza controproducente che i sindacati abbiano rifiutato il lavoro il sabato pomeriggio e la domenica. Certo, non sono questi orari “normali”, specie in un’azienda a rischio.Ma, del resto, proprio la situazione anormale, anomala, estremamente rischiosa, avrebbe suggerito maggiore elasticità.Più disponibilità, insomma, per dimostrare che lo stabilimento di Olgiate Comasco sarà anche più costoso di altri impianti sparsi per il mondo, ma è anche flessibile, elastico. Per dimostrarlo ai clienti e alla proprietà. Niente da fare, ha prevalso lo scontro al confronto.Certo, i danni sin qui subiti dai lavoratori e dalle loro famiglie sono già ingenti. Ma, d’altra parte, se l’azienda chiude sarà sicuramente peggio. E proprio questo – la chiusura, la scomparsa totale dal territorio di una realtà industriale – sarebbe l’epilogo peggiore. Certo, chiunque vorrebbe una situazione florida, positiva, redditizia. Ma se tutto ciò non è possibile – e, obiettivamente, ormai non lo è più – allora accontentarsi di qualcosa di meno è l’unica strada. Di uno stipendio ridotto, magari, anche se sappiamo tutti che è dura; della cassa integrazione; di orari differenti e ritmi diversi; di tutto e di più, pur di salvare almeno in parte l’azienda. Pareva lo sapessero anche i sindacati, spesso hanno dimostrato di crederci.Ma sulla Sisme dovevano osare di più. E soprattutto litigare di meno.

Giorgio Civati

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