«Ci sono state divisioni che il cittadino stenta a capire»«Le difficoltà della città sono sotto gli occhi di tutti. Ci sono problemi logistici, industriali, amministrativi. Ai politici sono mancati il coraggio, l’amore, la passione. Più ancora, è mancata una più profonda intelligenza della complessità delle situazioni e una più profonda solidarietà. L’eccessiva personalizzazione della politica ha portato a divisioni che il cittadino stenta a capire e che hanno paralizzato tutto, anche le buone intenzioni».Cinque anni dopo aver preso leredini della diocesi di Como, il vescovo Diego Coletti svela l’idea che si è fatto della città e, soprattutto, dei suoi cittadini, amministratori compresi. Lo fa nel tradizionale incontro annuale con la stampa nel giorno di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Lo fa senza sorvolare sulle questioni più delicate, dalle imminenti elezioni all’eterna battaglia sull’ipotesi della moschea.«Sono stati cinque anni faticosi – premette il vescovo – La città è bloccata e questo mi sembra evidente. L’auspicio è che ci sia una maggiore capacità di coinvolgimento e collaborazione. Abbiamo assistito a divisioni che il cittadino medio stenta a capire, innescate da un eccessivo individualismo della politica. Pur nel rispetto delle diversità culturali e politiche, occorre recuperare il gusto di lavorare assieme».Nessuna indicazione, però, sul “candidato ideale” alla carica di sindaco. «La mia preoccupazione, trattandosi di elezioni amministrative – spiega monsignor Coletti – è garantire la neutralità della comunità cristiana, pur nell’obbligo del richiamo ai propri valori. Chiunque decida di impegnarsi nel politico ha una sua visione e un entroterra di valori, e deve esserci coerenza. È necessario essere chiari su quello che si pensa. Occorre ritrovare una dimensione fraterna – ha detto ancora monsignor Coletti dialogando con i giornalisti – L’intelligenza, da sola, produce strumenti di guerra. Senza fraternità, senza finalizzazione, l’intelligenza produce nulla di buono. Mi auguro che la classe politica individui capaci di un lavoro di grande tessitura. In questi anni, il desiderio di guardare più al proprio interesse e alla propria strategia che non al gioco di squadra ha impedito lo sviluppo che la qualità di questa città merita».Una città nella quale deve esserci spazio per tutti. «L’atteggiamento nei confronti degli islamici oggi è molto spesso di aggressività o di paura – sottolinea il vescovo – Al massimo, c’è una terza via di fuga, quella di dire che è tutto uguale. Non è così. Una coscienza più personalizzata e approfondita porterebbe a dare spazio all’accoglienza, pur facendo capire la differenza. Dico sì alla moschea, nel senso che deve essere rispettato il diritto di tutti ad esprimere liberamente la propria religiosità. Poi, è chiaro che accoglienza non significa per forza apertura a 360 gradi. Se ci fosse qualche sospetto sull’esistenza di elementi che non sono in linea con la nostra Costituzione, è giusto che le autorità preposte facciano le necessarie verifiche. Verifiche che non spettano certo alla Chiesa».Gli anni di monsignor Coletti a Como sono stati segnati dalla crisi economica. «Non so dire se per questo la città sia migliore o peggiore – precisa il vescovo – Senza dubbio, si è scatenata una sorta di guerra al “si salvi chi può” che ha condizionato molto le cose. Le persone sono in condizioni di sofferenza maggiore, e questo non può essere ignorato. La Chiesa sta provando a fare la sua parte, per il resto non spetta a me giudicare le politiche messe in atto dalle istituzioni».Basandosi su cinque anni di esperienza diretta, il vescovo parla dei comaschi anche dal punto di vista spirituale. «Credo che ci sia da fare un grande lavoro di recupero della qualità della fede – sottolinea monsignor Diego Coletti – Ci sono belle tradizioni e abbiamo anche un’alta percentuale di frequentanti nelle nostre realtà parrocchiali. Il problema gravissimo è l’assottigliarsi dello spessore della fede. C’è una fede tradizionale, fatta di belle e sane tradizioni, ma credo che si debba traslocare verso un percorso più pensato e più appropriato alla persona, verso un approfondimento delle radici della fede».Un percorso che potrebbe favorire la realizzazione di uno dei sogni del vescovo, quello di vedere «rifiorire le vocazioni sacerdotali, religiose e missionarie». A Villa Guardia, negli ultimi anni, sembra sia accaduto. Effetto del santuario di Maccio?«Effetto di una comunità che prega molto – sintetizza monsignor Coletti – di tanta gente che ha un’amicizia viva e personale con Gesù. La fede non è un segno portato addosso e neppure la partecipazione a un sacramento, è entrare in una nuova esperienza che ti cambia la vita».
Anna Campaniello
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