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Como, la città dei “pensatoi”. Gli interrogativi dopo la nascita dell’Officina di De Santis

Officina Como, l’incontro degli scorsi giorni

Scriveva Eugenio Montale nelle sueProse narrative: «Ignoro che fine abbiano fatto, dopo la morte del musicista, le montagne di rulli che ingombravano il suo pensatoio». Forse è proprio questo il destino dei luoghi in cui si ragiona molto e si producono idee (buone o cattive): perdersi. Nel vuoto pneumatico che separa la realtà delle cose concrete dall’astrattezza.La recentissima nascita nel capoluogo lariano dell’ennesimo pensatoio –Officina Como– ha sollecitato riflessioni e analisi di ogni tipo. Molti si sono arrovellati su quali fossero i veri obiettivi del gruppo guidato dall’ex presidente della Camera di Commercio, Paolo De Santis. Se politici, ideali, o di puro potere.Bisognerebbe invece domandarsi perché uomini e donne di peso della borghesia cittadina abbiano scelto di percorrere una strada già ampiamente battuta da altri. Como sembra essersi infatti innamorata della formula del pensatoio.

Paolo De Santis

A parte lo storico Circolo Einaudi, negli ultimi anni sono nati, tra gli altri, La città possibile, Fucina Liberale, Costruiamo Como, il Circolo Willy Brandt, Como Lab, fino appunto a Officina Como. Iniziative molto diverse tra loro per matrice e impronta culturale ma tutte impegnate a occupare uno spazio che altri – i partiti, ad esempio – avrebbero dovuto presidiare.«I pensatoi nascono perché c’è una reale esigenza di “volare alto” – dice Giuseppe Doria, presidente del Circolo Brandt e coordinatore di Como Lab – ma hanno un limite: non sono capaci di costruire un rapporto organico con la politica. Un rapporto decisivo, se alla fine poi si vuole realizzare qualcosa». Secondo Doria, è giusto che i pensatoi non siano «subalterni né facciano da cinghia di trasmissione». Ma anche «pensare di sostituirsi alla politica può essere velleitario».I partiti sono certamente in crisi, ma sin qui – almeno a Como – hanno continuato a governare. Raccogliendo consenso e voti.Il civismo ha fatto breccia, ma soltanto in minima parte. I pensatoi hanno lavorato molto, ma di fronte alle urne hanno lasciato il campo libero.È possibile che l’esperienza di Officina Como possa in futuro modificare il quadro. È però molto presto per dirlo. Anche il tema scelto come filo conduttore dal gruppo legato a De Santis – la cultura – è di grande importanza ma non tocca i temi chiave del governo del territorio. Cosa che invece hanno fatto altri.E allora, si torna alla domanda iniziale: perché?Perché una città qual è Como esprime una così decisa propensione a “ragionare” e una così debole inclinazione ad agire?Secondo Gioacchino Favara, consigliere Pd per 5 anni a Palazzo Cernezzi e dirigente della Uil, la spiegazione è semplice. «Si tratta del vizio storico delle élite: additare i mali e i difetti degli altri senza essere capaci di riconoscere i propri. Nei partiti questo non accadeva, perché insieme ai dirigenti discuteva anche il popolo, la gente comune».Da. C.

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