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Confcooperative Insubria, uno sguardo sul futuro. Ieri l’assemblea annuale

«Un’impresa nella quale a tutti è data l’opportunità di essere imprenditore e a nessuno è concesso di diventare padrone».Sta forse in questo passaggio, uno dei più forti dell’intera relazione, il senso più autentico del lungo discorso con cui ieri pomeriggio il presidente di Confcooperative Insubria, Mauro Frangi, ha aperto la quarta assemblea annuale dell’associazione di via Anzi. «Dalle nostre imprese non si ricaveranno mai plusvalenze o capital gain, gli utili generati saranno per sempre reinvestiti nello sviluppo, a garanzia della capacità delle aziende di continuare nel tempo a soddisfare i bisogni dei propri soci e della comunità in cui operano. Senza “scappare”, senza mai “delocalizzare”, senza mai “arricchire uno solo” a danno di tutti gli altri».Nell’anno in cui si festeggia il centenario della nascita di Confcooperative in Italia, l’Unione di Como e Varese ha posticipato di qualche giorno il suo tradizionale appuntamento di fine anno proprio per essere la prima a celebrare l’anniversario.«Le celebrazioni sono l’occasione migliore per testimoniare la fedeltà alle proprie radici e, insieme, la capacità di innovare le modalità della propria azione economica e sociale», ha ricordato Frangi elencando i risultati di Confcooperative Insubria: 416 imprese aderenti, un fatturato aggregato che sfiora ormai i 300 milioni di euro, la creazione «di tanta e “buona” occupazione. Alla fine di dicembre del 2014 – ha detto Frangi – gli occupati nelle nostre cooperative erano 7.802. Alla fine del 2018 sono diventati 10.339. In larga parte soci e, quindi, proprietari della loro impresa; 2.537 in più».Perché «le cooperative nascono e crescono soltanto per rispondere ai bisogni di una comunità e per creare lavoro. Non per altre ragioni. È questa la “funzione sociale” della cooperazione, sancita e tutelata dall’articolo 45 della nostra Costituzione».Senza creare lavoro, ha infine aggiunto il presidente di Confcooperative Insubria, «non si crea benessere sociale. Ma il lavoro non si costruisce per decreto legge. Il lavoro lo creano soltanto le imprese». Che andrebbero aiutate. «In un’epoca nella quale si può – o si deve – diventare imprenditori per necessità e non solo per una forte vocazione, la formazione imprenditoriale, l’impegno a generare nuova imprenditorialità e diffondere una cultura d’impresa dovrebbero costituire per il sistema camerale la priorità assoluta. Per questo siamo delusi del dibattito che si è sin qui sviluppato attorno alla nuova Camera di Commercio di Como e Lecco, nel quale non c’è traccia della promozione di nuova e qualificata imprenditorialità come principale leva per lo sviluppo».

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