Affollato convegno ieri a Como. «Mamme costrette a lasciare il lavoro per i figli»In otto casi su dieci, la prima ad accorgersi che qualcosa non va è la mamma. Il sospetto aumenta di giorno in giorno e ben presto sfocia nella richiesta di visite e consulenze. Per molti, purtroppo, un percorso a ostacoli.«Le famiglie devono attendere da due a tre anni per una diagnosi», denunciano le associazioni di Como che si occupano di autismo, un complesso disturbo neurobiologico che colpisce in media un bimbo su 130, dato che scende a uno su 88 secondo le ultime ricerche.Ieri mattina, famiglie, associazioni, specialisti e rappresentati delle istituzioni si sono date appuntamento al Pirellino per il convegno “Autismo, il welfare che vorrei”, organizzato dal Partito Democratico con grandissima partecipazione.«Le famiglie sono abbandonate a loro stesse già dalla diagnosi, spesso tardiva e difficile da ottenere – dice Nicoletta Sanguinetti, presidente dell’associazione “Costruire” – Una volta certificata la patologia, mancano gli educatori che possano portare avanti i percorsi terapeutici. I genitori devono arrangiarsi e questo comporta difficoltà enormi, anche di tipo economico. Arriviamo a spendere anche 2mila euro al mese per le cure, ed è una discriminazione perché non tutti possono sostenere una spesa simile».«Spesso le mamme devono lasciare il lavoro per occuparsi di un figlio autistico e questo peggiora la situazione in termini economici – dice Eva Cariboni, responsabile di Emergenzautismo – Per garantire la necessaria assistenza a mio figlio di 7 anni, mi sono dovuta affidare a un centro privato, del costo di 700 euro al mese, a cui si aggiungono le altre spese per terapie, farmaci e integratori. I risultati si vedono, eccome. Mio figlio ha fatto progressi enormi, che non avrebbe mai potuto fare se non fossimo riusciti a rivolgerci ai privati per cure».Stefania Neva, grazie alla tenacia con la quale dal 2009 si batte perché suo figlio abbia la necessaria assistenza, in questi giorni sta vivendo l’emozione di ascoltare «le prime frasi di assoluto senso compiuto» del suo bimbo di 5 anni.«La diagnosi precoce è fondamentale – ricorda – così come lo è un trattamento intensivo fin dalla scoperta dell’autismo, quando il bambino è piccolo. Ogni giorno perso è un giorno prezioso. Purtroppo, oggi la risposta della sanità pubblica a Como è inadeguata. Ci sono liste d’attesa di mesi solo per una prima visita. Ci sono famiglie costrette a rivolgersi altrove per un diagnosi».Il primo ad ammettere le difficoltà è Claudio Cetti, direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’azienda ospedaliera Sant’Anna. «Quella dell’autismo è una realtà drammatica sulla quale abbiamo bisogno di crescere – dice lo specialista – Finalmente sta emergendo una nuova modalità di approccio al problema e di intervento. Effettivamente, solo ora ci stiamo muovendo davvero nella giusta direzione e stiamo partendo con il giusto passo. A brevissimo, metteremo a disposizione dell’associazione “Costruire” alcuni locali al Dipartimento di Salute Mentale, in modo da garantire una presenza costante».«Il secondo e fondamentale passo – aggiunge Cetti – è un progetto che vede la nostra Unità di Neuropsichiatria infantile capofila per la messa in rete di tutti le associazioni e i soggetti istituzionali del pubblico e del privato che possono mettere a disposizione competenze utili. Fino ad oggi abbiamo dato una risposta frammentaria, ora finalmente si volta pagina».
Anna Campaniello
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