Un libro di storia contemporanea che fa e fa fare i conti. Dove non mancano riferimenti alla Svizzera alle prese con l’emergenza sanitaria e a personalità del Lario, su tutti l’impegno di Giuseppe Guzzetti, a lungo presidente di Fondazione Cariplo, per evidenziare la piaga dei bambini in povertà materiale ed educativa.Un libro che è racconto di tante ferite aperte: l’Italia piegata ma non vinta dal virus e dalle sue conseguenze economiche e sociali che accentuano ingiustizie e disparità. Ma alimentano anche tante buone pratiche di volontariato, resilienza, inclusione. Una lezione di vita che parte da fatti, amaramente constatati senza sconti a nessuno: viviamo sopra i nostri mezzi, e prima o poi il conto da pagare arriva. Lo spettro di un default totale è dietro l’angolo.È il nuovo libro di Ferruccio de BortoliLe cose che non ci diciamo (fino in fondo), edito da Garzanti, ideale seguito del precedenteCi salveremo. Appunti per una riscossa civicadel 2019. De Bortoli dà voce a quel “discorso di verità” che il Paese troppo spesso si è negato.Questa comunità divisa, sfibrata, esausta, gravata dalla tendenza all’assistenzialismo perenne ma capace di tirare fuori il meglio nell’emergenza, soffre di un “non detto” pesante come una montagna. E de Bortoli lo dice a chiarissime lettere. Tra le grandi emergenze il giornalista, che è stato direttore del “Corriere della Sera” ed è presidente della Longanesi e dell’associazione Vidas, vede l’educazione: «Mi piacerebbe sapere chi ripagherà i nostri giovani del danno permanente subito dalla didattica a distanza – dice al “Corriere di Como” – La scuola è relazione, socialità, esperienza di educazione condivisa che fa sbocciare, guardare al futuro. Perché la scuola non è solo istruzione, ossia immettere nozioni, Hanno rubato ai giovani un pezzo di vita: una ferita che non ha ristori, che segnerà in modo indelebile intere generazioni, in un Paese che non vede la qualità dell’insegnamento e la valorizzazione del merito al primo posto. Insomma la scuola dove i diritti di chi insegna sono superiori a quelli di chi studia come grande ferita aperta: valore trascurabile, di fronte ad altre perdite gravi. Si ha impressione che la scuola sia sempre una realtà marginale, sacrificabile».Una grande responsabilità nell’accumulo di “non detto” hanno i media: «Rifiuto chi vede nella stampa un monolite – dice de Bortoli – Sia nella carta stampata che in tv e nel web come in ogni professione c’è gente seria e preparata e chi non lo è o lo è meno. Di fatto colpisce che non ci sia più un costante esercizio del dubbio, un fact checking incessante, specie quando l’analisi dei dati alla fine comportano decisioni a livello politico che portano a una limitazione delle libertà personali come quelle cui assistiamo nei vari lockdown. Senza spirito critico l’opinione pubblica è una massa informe, una curva di tifosi e tutto questo è molto pericoloso. Siamo una comunità che sa essere paziente, rispettare le leggi, grazie a un capitale sociale che sa resistere e rispondere alla cacofonia di cui dà prova la classe dirigente, pensiamo solo alle polemiche tra Regioni e governo centrale. Ma non illudiamoci: non potremo far debiti all’infinito, non possiamo permetterci il lusso di illuderci che lo Stato possa sempre e comunque arrivare a integrare i redditi in crisi, Né che lo smartworking, su cui c’è un entusiasmo eccessivo, sia la soluzione a tutto. Pretende un sistema di organizzazione del lavoro che molte imprese non sono in grado di sostenere, e per molti configura una realtà quasi distopica, con poche relazioni e una vita che si plastifica». Pillole amare, ma assolutamente da digerire.
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