Il pittore comasco Luca Del Baldo, classe 1969, autore di celebri copertine come quelle del romanziere James Ballard, pubblica un libro presso il prestigioso editore tedesco De Gruyter.È una galleria di illustri personaggi del mondo dell’arte e della cultura che rinnova una tradizione lariana. Sul lago infatti lo storico Paolo Giovio (1483-1552) inventò l’idea del museo moderno con la sua collezione di ritratti di personaggi più in vista del suo tempo, una raccolta che è ora ospitata, nei dipinti superstiti, alla Pinacoteca di Palazzo Volpi a Como.Del Baldo si inserisce nell’alveo di questa tradizione, rinnovandola, nel suo nuovo libro che ha come titoloThe Visionary Academy of Ocular Mentality / Atlas of the Iconic Turn, 324 pagine di cui oltre un’ottantina a colori. Nel volume la galleria di dipinti è accompagnata da testi dei personaggi rappresentati. Sono storici dell’arte, etnologi, studiosi e accademici di fama internazionale tra cui Salvatore Settis, Harold Bloom, Jean-Luc Nancy, Marc Augé, George Steiner, Michel Onfray soltanto per citarne alcuni.«Il riferimento a Paolo Giovio è pertinente – dice Del Baldo – non solo perché anch’io sono comasco ma, come mi hanno detto e scritto amici ed esimi studiosi come Jonathan Brown, Horst Bredekamp, Salvatore Settis e Andreas Beyer , anche il grande storico del Cinquecento cercò di creare una specie di “Pantheon” pittorico di uomini illustri e letterati del suo tempo nella sua leggendaria villa sul Lago di Como. Arthur Danto che ha dato il titolo al mio progetto, The Visionary Academy of Ocular Mentality è anche un forte rimando al celebre Le Vite di Giorgio Vasari, e infatti la mia serie ritrattistica è una specie di “Galleria Vasariana” del Pensiero Contemporaneo. Qualcuno scrisse che viviamo in una “società facciale”, il fenomeno Facebook (non casuale che il social network più diffuso e potente abbia nel suo nome la parola “Face”) o Instagram, con la pletora di selfies di celebrità o gente sconosciuta, cateratte infinite di frustrazione solipsistica e alienante, sembra essere un corollario di questa tesi. Un grande storico dell’arte come Hans Belting (che è nel mio libro) ha scritto un libro il cui titolo è Faces and Mask. A Double History, rimarcando l’importanza del ritratto nella Storia dell’Arte, non solo come genere specificamente artistico e pittorico, ma anche per capire appieno un’epoca anche da un punto di vista sociale, economico, politico, psicologico».Ma oggi quale volto ci rappresenta? «Il nostro esperire retinico e sensoriale quotidiano del volto/maschera e corpo si è vieppiù smaterializzato nel “paesaggio mediale e neuronale” di cui parla Ballard – dice Del Baldo – nella infosfera, attraverso i dispositivi elettronici. Vedere un volto e un corpo dal vero è decisamente diverso. Ma credo che il mio interesse precipuo sia nella “immagine”, come interagisca con noi, quale possa essere il nostro responso verso di essa, che cosa la renda così memorabile e potente».E non manca nel pensiero del pittore il riferimento a un altro grande nome della cultura comasca venuto prima di Giovio, ossia Plinio il Vecchio: «Nella pagina pliniana dove si narra della figlia del vasaio Butade che traccia i contorni del profilo del suo amato e il padre lo riempie di argilla è, per convenzione, la nascita del ritratto, qui si sta il nocciolo della questione, come preservare la memoria di una persona, il ricordo di essa in un continuo slittare tra assenza e presenza attraverso una superficie bidimensionale e la interazione tra essa e lo spettatore. Mairice Blanchot scrisse che il ritratto è una versione del cadavere quando la persona diventa rassomigliante alla propria apparenza. Ma c’è anche chi come Georges Bataille contestò la supremazia della testa e suggerì la figura dell’Acefalo come epitome della condizione della modernità.Una riflessione che prosegue anche nei nuovi lavori: «Il mio nuovo progetto è sull’iconoclastia e il vandalismo in arte. E non vedo questo solo come atti di folli o psicopatici o artisti frustrati… Ho appena dipinto la badessa di Munster sfregiata durante la Riforma protestante. Un’ immagine di una scultura di qualche secolo fa che trovo assolutamente capace di disvelare molte paure e verità intrinseche di oggi. Ma anche un mio lavoro recente sull’omicidio di George Floyd mi ha appassionato soprattutto per la perfetta similitudine formale e iconografica del gesto violento e della positura dei corpi con rimandi biblici, rituali e sacrificali frammisti alla routine folle e granguignolesca di un mattatoio»».Ma come vive un pittore così radicale e assorbito dalla densità concettuale del proprio lavoro il cosiddetto sistema dell’arte fatto di musei, gallerie, collezionisti? «Mi sento ignorato dal mercato – dice Del Baldo – sonnambulicamente e pervicacemente solitario nella mia ricerca (pur dialogando a distanza con diversi filosofi e storici dell’arte), non frequento vernissages e non ho un gallerista o mecenate che mi assicuri una rendita mensile o si prenda cura della vendita dei miei dipinti. Il mio libro è stato prodotto da una nota istituzione americana e pubblicato dall’editore tedesco De Gruyter, Insomma “Nemo propheta in Patria”».Ma l’arte non finirà mai, per Del Baldo. «L’uomo ha atavicamente bisogno dell’arte per molteplici ragioni, fin dai graffiti propiziatori e apotropaici di Lascaux, L’artista/demiurgo e rabdomante che crea immagini ci innalza e eleva a uno stato a noi prima sconosciuto in vette assolute di godimento estetico e percettivo. Poi non importa se con il pennello intriso di pigmento e trementina o con una fotocamera».
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