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Delitto del furgone giallo. La vedova: «Sono sconcertata, questa non è giustizia»

Parla la moglie di Antonio Di Giacomo dopo gli arresti domiciliari concessi a Capellato

Pensa a Emanuel Capellato nel suo appartamento, davanti a un computer, mentre chiacchiera con gli amici e usa le parole «vergogna» e «schifo». La rabbia, però, dura pochi secondi, perché poi a prendere il sopravvento è il pensiero dei suoi tre bambini e di quel papà «perfetto e sempre presente» che non vedranno mai più. E allora la rabbia lascia il posto a un dolore che non si può spiegare. A una tristezza, a uno sconforto che si può tradurre solo con le lacrime.Cecilia Castagna

è la moglie di Antonio Di Giacomo, l’imprenditore lecchese ucciso con due colpi di pistola il 9 ottobre 2009 a Como, in un appartamento di via Cinque Giornate. Per quel delitto, in primo e secondo grado sono stati condannati all’ergastolo Emanuel Capellato e Leonardo Panarisi, 37 e 55 anni.Il primo già da alcuni mesi ha ottenuto gli arresti domiciliari per motivi di salute. «Non è giustizia», dice senza esitare la vedova della vittima. «Dire che sono rimasta sconcertata quando ho saputo che era fuori dal carcere è davvero poco – commenta Cecilia Castagna – Questa non è giustizia e questo mi rattrista, per me e per i miei figli. Non ho detto nulla ai bambini. Stanno faticosamente provando a convivere con la perdita, ma solo perché sono sicuri che chi ha fatto tanto male stia pagando per lo sbaglio fatto. Certo non potrebbero sopportare il pensiero che invece questa persona è a casa, libera di divertirsi su Facebook». Il dolore, da quel maledetto giorno d’ottobre di quattro anni fa, è immutato.«Solo chi ha perso un marito in questo modo può capire – dice la vedova di Antonio Di Giacomo – E non si può capire quanto possa far male a dei bambini perdere un papà sempre presente, perfetto. Da quel momento, noi ci siamo dovuti rimboccare le maniche e trovare la forza per arrangiarci e tirare avanti. Non è possibile che al contrario Emanuel Capellato sia a casa, libero di continuare in qualche modo a fare la sua vita».La Corte di Cassazione ha fissato la data dell’udienza per il terzo e ultimo grado di giudizio. «Ci sarò, come ho sempre fatto finora – conclude Cecilia Castagna – Fino all’ultimo respiro farò tutto quello che potrò perché mio marito abbia giustizia. Certo, ammetto che non è facile davanti a questa situazione. Due persone sono state condannate all’ergastolo in due gradi di giudizio. Sembrava che quantomeno potessimo avere giustizia. E poi che cosa accade? Che dobbiamo vederli fuori? Aspetto la Cassazione, ma non posso negare la paura di non avere giustizia».

Anna Campaniello

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