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Diffida del Comune a Comodepur: «Liberate subito gli impianti»

Comodepur liberi subito gli impianti di viale Innocenzo affinché il Comune possa trasferirli a Como Acqua. È questa, in estrema sintesi, il senso della diffida che Palazzo Cernezzi ha consegnato nelle scorse ore ai vertici della società cui fa capo la gestione del depuratore cittadino. Una ulteriore dichiarazione di guerra, che aggiunge benzina al fuoco acceso ormai da mesi sotto una vicenda dagli esiti davvero imprevedibili.Per capire che cosa stia accadendo bisogna fare alcuni passi indietro. A metà febbraio Comodepur aveva citato il Comune davanti al Tribunale civile chiedendo 13 milioni di euro «a titolo di valore industriale residuo». Una sorta di indennità di fine concessione, che Palazzo Cernezzi però contesta.Nel mese di marzo, l’assessore al Bilancio e alle Partecipate Adriano Caldara, aveva poi annunciato in commissione di aver disposto l’accantonamento a titolo prudenziale della cifra indicata da Comodepur, confermando tuttavia la decisione del Comune di costituirsi in giudizio per contrastare le richieste della società di viale Innocenzo.Il Tribunale ha fissato per novembre la prossima udienza e nella causa potrebbe entrare anche Como Acqua, il gestore unico del ciclo idrico integrato nella provincia lariana.Como Acqua è la società alla quale in futuro, quando la questione giuridica sarà dipanata, verrà affidato il depuratore. Il 9 maggio scorso, in una lettera inviata a Palazzo Cernezzi, la stessa Como Acqua si è dichiarata pronta a subentrare a Comodepur nella conduzione dell’impianto e ha chiesto al Comune di fare tutto ciò che fosse in suo potere per accelerare il passaggio di consegne.Sin qui, a grandi linee, lo scenario di fondo della vicenda. La cui accelerazione è stata decisa lunedì scorso dalla giunta del capoluogo sulla base di una relazione presentata dai dirigenti del settore Patrimonio.Due pagine scritte in un tortuoso burocratese in cui si spiega che il Comune di Como deve «prontamente pretendere la reintegrazione nel pieno possesso materiale dei beni afferenti il ciclo idrico integrato di sua proprietà, al fine di consentirne l’immissione in possesso del gestore unico d’ambito». In pratica, chiedere a Comodepur di riconsegnare il depuratore al Comune affinché questi lo “giri” a Como Acqua.La tesi su cui Palazzo Cernezzi fonda la sua richiesta è che il depuratore «insiste dall’epoca della sua realizzazione su aree di proprietà del Comune che è, quindi, proprietario anche di quanto su tali aree di sedime è stato realizzato nel corso del tempo da Comodepur».Di qui la diffida consegnata agli amministratori della società di viale Innocenzo. Una diffida che, con ogni probabilità, non avrà alcun seguito. Sembra infatti più che improbabile che il consiglio di amministrazione di Comodepur decida di accogliere le richieste del Comune. E questo per vari motivi. Il primo, e più logico, riguarda la causa in atto. Con un contenzioso aperto nessuno può seriamente pensare di fare un passo simile.Ma oltre a questo ci sono problemi di altra natura. Ad esempio, e non è cosa da poco, il destino dei 24 dipendenti della società. Si può presumere che in futuro essi saranno assorbiti nella pianta organica di Como Acqua, ma questo genere di passaggi ha bisogno di procedure formali che al momento non sono nemmeno state avviate.Di certo c’è che la diffida inviata dal Comune a Comodepur produrrà un irrigidimento delle posizioni tra due parti in teoria più che vicine. Non bisogna dimenticare che Comodepur è una società partecipata da Palazzo Cernezzi (con una quota del 30,38%) e anche da Acsm-Agam (9,81%), azienda quotata in Borsa e a sua volta di proprietà in parte di Palazzo Cernezzi.Dei 13 milioni e rotti di buonuscita (oltre all’indennità di fine concessione, Comodepur chiede anche il conguaglio per la gestione del servizio di depurazione negli ultimi tre mesi del 2015 – circa 330mila euro più Iva – e i costi per gli interventi di manutenzione straordinaria sui collettori), una parte sarebbe destinata alle casse del Comune.

Redazione

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