C’è chi nel periodo compreso tra il 2013 e il 2019, si sarebbe rifornito «circa mille volte». Chi quelle «mille volte» le avrebbe raggiunte in un periodo più lungo, di una decina di anni. Tutti però indicavano in un marocchino il loro fornitore di sostanze stupefacenti. Attività di spaccio che andava in scena nel bosco di Castelnuovo Bozzente.Le indagini dei carabinieri di Olgiate Comasco avevano portato nei mesi scorsi a più blitz, il primo il 19 gennaio del 2019 (quando fu recuperato uno zainetto contenente un chilo di eroina e cocaina, 1.500 euro e 660 franchi), il secondo il 15 marzo (mezzo chilo di coca e 13mila euro), l’ultimo ad agosto con il sequestro di un chilo e mezzo di eroina, in parte sotterrata.Ora, a indagine conclusa, la Procura di Como – pm Alessandra Bellù – ha chiesto e ottenuto dal giudice delle indagini preliminari Carlo Cecchetti una ordinanza di custodia cautelare in carcere (per cinque) e all’obbligo di firma (per un indagato) che è stata eseguita nelle scorse ore. In carcere sono finiti due italiani di 45 e 30 anni (entrambi della provincia di Varese, il primo nato ad Angera, il secondo a Tradate), due marocchini (fratelli, di 34 e 29 anni) e un albanese di 47 anni. L’obbligo di firma è per un marocchino di 36 anni. Secondo l’accusa, si sarebbero occupati dello spaccio di droga all’interno del bosco, con gli italiani che facevano da palo e smistavano gli acquirenti indirizzandoli direttamente al venditore in base al tipo di stupefacente richiesto. Perché da quanto è emerso, a Castelnuovo Bozzente era in vendita ogni tipo di prodotto – eroina, cocaina, hashish, marijuana – ed in ingenti quantitativi, come del resto i sequestri compiuti dimostrerebbero.L’ordinanza è stata eseguita tra sabato e domenica. In un caso è stato anche necessario effettuare un inseguimento in auto.Gli acquirenti – decine quelli che sono stati sentiti dai carabinieri – arrivavano dalle province di Como e Varese, ma anche dalla vicina Svizzera. Non è un caso infatti che nelle mani dei militari siano rimaste anche diverse centinaia di franchi svizzeri. La Procura ritiene che a tenere le fila del gruppo – cui non viene contestato il reato associativo – ci fossero i due fratelli marocchini. Le indagini proseguono per individuare altri responsabili.
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