L’arco bicolore posto sul lungo Lario Trieste a Como per impedire che la strada sprofondi sotto il peso dei camion ha fatto una vittima di notevoli dimensioni. Lunedì sera un Tir si è incastrato sotto il portale segnaletico provvisorio voluto dal Comune per impedire ai camion e ai pullman di transitare. Costato 14mila euro, il dissuasore che a quanto pare – come ha documentato un lettore nello scatto fattoci pervenire via posta elettronica, che pubblichiamo in questa pagina – a qualcuno non
ha creato affatto problemi. Il pesante autoarticolato, nonostante il divieto, lunedì, attorno alle 20, ha tentato di forzare il blocco e varcare la soglia proibita in barba alla legge.«La polizia locale – fa sapere l’assessore alla Viabilità di Palazzo Cernezzi Daniela Gerosa – è prontamente intervenuta e il Tir è stato disincagliato».Eh sì, i furbetti stiano attenti: «Abbiamo messo a punto sistemi di controllo che ci permettono di monitorare costantemente il passaggio contro le regole». L’assessore – che ieri ha partecipato alla conferenza regionale sul trasporto pubblico, in vista del rinnovo dei contratti in scadenza in autunno – non intende che si usi esplicitamente la parola «telecamere» ma è chiaro che si è andati in quella direzione.La struttura riporta l’indicazione del divieto di transito sul lungolago per i veicoli con massa a pieno carico superiore a 3,5 tonnellate. Con il posizionamento del portale è entrato in vigore anche il divieto di passaggio per i veicoli di altezza superiore a 2 metri e 40 centimetri. Una soluzione temporanea, da smantellare il giorno fatidico in cui il cantiere sarà messo in archivio.Eppure non mancano mezzi come pulmini o altri furgoni che, seppur toccando la struttura – e quindi non potrebbero passare – con nonchalance proseguono sulla strada e vanno avanti. Quindi, malgrado il dissuasore, c’è qualcuno che non viene dissuaso e, anzi, fa finta di nulla.«Con mezzi così grandi non era mai successo, temevamo soprattutto che i trasgressori si facessero vivi di notte ma non ci risultano effrazioni», conclude Gerosa.
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