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Frontalieri in coda alla dogana, si torna a lavorare. Il Canton Ticino allenta la stretta, da ieri sono ripartiti altri settori

Dalle 6 di ieri mattina i social hanno prontamente messo in mostra le interminabili code di auto dei frontalieri intenti a superare i valichi aperti con la Svizzera. A osservare le immagini, dove in un paesaggio ancora avvolto dall’oscurità brillavano solo le luci posteriori delle auto in lento avvicinamento al confine, ben si capiva l’ulteriore cambiamento in atto da ieri in Canton Ticino, che ha riaperto le porte ad altri 8mila frontalieri.Si tratta in prevalenza di addetti del settore edile (nei cantieri con al massimo 10 persone al lavoro) e delle attività produttive, che opereranno sotto il controllo dello Stato maggiore cantonale di condotta (Smcc), l’ente impegnato a vigilare sull’osservanza delle disposizioni di sicurezza sanitaria. Il Ticino dunque sembra molto più avanti sulla strada della fase 2 rispetto all’Italia ma il timore è che queste aperture possano essere rischiose in un momento in cui l’epidemia è ancora ben lontana dall’essersi fermata.Le autorità d’oltreconfine hanno previsto, per le attività che ripartono, la sanificazione degli ambienti e il distanziamento sociale di almeno due metri tra una persona e l’altra; inoltre, le industrie che fanno tornare in servizio più del 50% del personale devono – se superano i 10 addetti – chiedere un’autorizzazione allo Stato maggiore cantonale di condotta.I circa 8mila lavoratori in movimento da ieri mattina portano a un numero superiore a 20mila il dato complessivo dei frontalieri delle province di Como, Varese e Verbania all’opera in Ticino. La stima, che arriva dall’osservatorio del sindacato svizzero Ocst, è in ribasso e non valuta anche le aziende che hanno ottenuto la deroga per poter lavorare a pieno regime con il 100% del personale.Una situazione fortemente criticata dai sindacati che sottolineano la necessità di non accelerare in modo eccessivo la ripartenza.«Mi sembra una misura sinceramente troppo affrettata – spiega Roberto Pagano (Cisl frontalieri) – Il territorio ticinese non può essere disgiunto da province come quelle di Varese e Como. E se certamente non possiamo impedire la riapertura agli svizzeri così come non possiamo impedire ai lavoratori di non rispondere alla chiamata, va detto che tutto ciò espone a rischi la popolazione. Gli oltre 8mila frontalieri di cui si parla, alla sera tornano a casa, in famiglia, per poi riuscire il giorno dopo innescando una circolazione molto rischiosa».Simile il commento di Roberto Cattaneo (Uil frontalieri). «Non possiamo che disapprovare tale atteggiamento. I numeri di quanti si muovono a cavallo del confine sono in aumento troppo rapidamente. Gli oltre 8mila frontalieri che sono tornati da ieri al lavoro si aggiungono ai tanti, come ad esempio gli infermieri, che non si sono mai fermati. Si sta correndo troppo rapidamente e ci si comporta in maniera imprudente. Anche perché il Cantone ha avuto più o meno lo stesso numero di contagi del Comasco».

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