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Gregotti, il Razionalismo e il Palababele: il Lario perde un amico

Anche Como piange la scomparsa di Vittorio Gregotti, architetto di fama internazionale scomparso a Milano a 92 anni. Era stato il 25 giugno 2013 in visita a Villa Olmo per discutere con  Marco De Michelis sulle prospettive scaturite dalla mostra “La città nuova” sull’idea di città dopo la rivoluzione immaginata dal futurista comasco Antonio Sant’Elia. Era stato anche ospite della rassegna di arte tessile internazionale “Miniartextil”. Il “Corriere di Como” lo aveva intervistato più volte, ad esempio sulla cittadella razionalista del lungolago del capoluogo. «Al Monumento ai Caduti di Como non serve una cancellata antiwriter. Non si può cambiare il rapporto che la città ha nella storia con i suoi monumenti. Sarebbe tradire il loro significato. Piuttosto, attrezzatevi con un sistema di telecamere antivandali» aveva detto l’architetto in merito alle modalità di difesa dal degrado per salvaguardare l’opera dell’architetto razionalista Giuseppe Terragni, spesso presa di mira da ignoti dalla bomboletta facile. «Il problema va affrontato seriamente – aveva detto Vittorio Gregotti – ma c’è una sola strada, va inserito nel contesto urbano. È la dimensione più urgente nell’agenda dei progettisti oggigiorno. Mettere cancelli attorno al Monumento ai Caduti – precisa Gregotti – falsificherebbe i termini della situazione. Meglio una qualche forma di sorveglianza e di vigilanza».

Inoltre l’architetto milanese, nato a Novara nel 1927, era
convinto che l’eredità che Como ha ricevuto dalla stagione razionalista – di
cui a pieno titolo è considerato un erede per il suo ferreo rigore progettuale
– è da sola un buon motivo perché la città si accorga dei tesori di cui è
ricca. «Se il Comune vuole utilizzare come attrazione di turismo culturale un
patrimonio come il Monumento ai Caduti – aveva detto riferendosi alle visite
guidate che ciclicamente interessano il patrimonio razionalista – non deve
esimersi dal porre mano al portafogli. Cioè deve curarsene. Quello che può
essere un vantaggio in termini di prestigio per la vostra comunità, ha
indubbiamente anche evidentemente un costo». Gregotti amava anche   altri
esponenti del Razionalismo. «Penso a Cesare Cattaneo – il padre con Mario
Radice della fontana di Camerlata, ndr –   Fu un
altro miracolo lariano, seppe fare cose eccellenti in appena 8 anni di lavoro,
e lasciò il segno. Como è una città di confine, come Trieste, e ha saputo
costruirsi una dimensione internazionale proprio grazie all’architettura, dai
Magistri Cumacini in su. Dovete tenerlo presente, quando affrontate la realtà
complessa dei sistemi urbani oggi. A Como hanno ancora una forte
riconoscibilità il tracciato urbano di epoca romana e il sistema di fortificazioni,
ma altrettanto importante oltre a questi valori da proteggere è il disegno
urbano complessivo, lo spazio tra gli edifici che è da tutelare al pari degli
edifici stessi. Abbiamo esagerato con l’individualismo delle costruzioni fini a
se stesse e che non dialogano col territorio». Gregotti è stato anche l’artefice
del progetto del cosiddetto Palababele di Cantù? “Fu il Comune di Cantù a
sbagliare la valutazione economica del progetto» disse al nostro giornale l’architetto
autore  del teatro milanese degli
Arcimboldi. La struttura  parzialmente
realizzata in corso Europa e incompiuta venne poi abbattuta. «Non credo proprio
che sia la soluzione migliore abbattere il palazzetto – aveva detto Gregotti –
È da tanti anni, ormai, che io non vedo la struttura, e sinceramente non
conosco lo stato di conservazione. Ma mi risulta che la parte realizzata sia
notevole. E non so quale vantaggio si potrebbe avere abbattendola».

Il famoso architetto, alla fine degli anni ’80, mise la sua
firma sul progetto del Palababele, cui teneva particolarmente come confessò al
nostro giornale, ma come egli stesso tiene più volte a precisare, «mi limitai a
quel compito, senza poi seguire lo svilupparsi del cantiere visto che i lavori
furono appaltati ad altri».

Del proprio lavoro, comunque, Gregotti non dubitava. «Dal punto di vista del progetto non ho nulla da rimproverarmi – aveva affermato il professionista – È vero, quella a cui lavorai era un’opera ambiziosa, ma non impossibile. Basti pensare che ho realizzato tantissime opere per lo sport, tra cui due stadi in Marocco da 50mila posti, senza mai un problema. Forse, se dobbiamo trovare un errore nel caso specifico, fu il Comune di Cantù che all’epoca sbagliò la valutazione economica di un simile palazzetto». A questo, aggiunge l’architetto, «si saranno probabilmente sommati l’aumento dei costi per il protrarsi dei lavori, qualche problema nella gestione degli appalti e dei subappalti e altri problemi che, tutti insieme, hanno determinato la situazione attuale».  «Quando si progettò quell’opera – ricordava Gregotti – esistevano molti vincoli che adesso non ci sono più. Penso per esempio al tentativo di ridurre l’impatto ambientale dell’edificio che determinò numerose scelte. Un problema che oggi non esisterebbe più, visto che tutt’intorno è stato costruito e c’è pure un grande centro commerciale».

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