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I “suggerimenti” e le stilettate del parroco di Grandate: «I sacerdoti accolgano i migranti in casa»

«A Como ci sono 26 case parrocchiali e almeno 15 appartamenti di vicari parrocchiali, senza contare tutti gli altri appartamenti abitati da sacerdoti. Perché non iniziare un’esperienza di accoglienza nella case, di vita condivisa con uno o due migranti o (nelle case più grandi) con qualche famigliola? Questa sì sarebbe accoglienza e integrazione. E sarebbe risolto il problema della chiusura del centro di via Regina». Il parroco di Grandate, don Roberto Pandolfi, interviene sul caso della chiusura, annunciata dal governo, del centro per migranti di via Regina, a Como.Una decisione contro cui sono scese in campo la Caritas e diverse associazioni di volontariato che hanno chiesto, con una lettera aperta, di non chiudere la struttura perché «può diventare risposta a tante altre forme di povertà presenti in città, legate al fenomeno migratorio e non solo». La Diocesi ha poi invitato tutti i sacerdoti a leggere, al termine della messa domenicale, una sintesi del documento della Caritas.E proprio su questo punto ieri ha preso posizione don Pandolfi, che ha espresso il suo pensiero, critico e ironico come è nel suo stile, nell’ultima delle riflessioni pubblicate sul sito della parrocchia.Dopo aver definito, ironicamente appunto, la questione di via Regina «la più scottante per la Chiesa e per il mondo in questi tempi», il parroco di Grandate ha puntualizzato che l’invito del vescovo a leggere «il comunicato in tutte le chiese della città è stato accolto da diversi parroci, ma non da tutti». E ha aggiunto: «Soprattutto è stato ignorato in Duomo, la chiesa del vescovo, quella dove il comunicato avrebbe avuto maggiori possibilità di essere ascoltato anche da chi non risiede a Como. Verrebbe da chiedersi come mai. Forse che diversi preti non erano d’accordo sui contenuti del comunicato? O sul metodo?».Don Pandolfi ha poi offerto due suggerimenti. Il primo alla Caritas, nel nome della «trasparenza», invitandola – per «mettere a tacere calunnie e illazioni» – a pubblicare il proprio bilancio e quelli «delle cooperative e onlus della sua galassia, così che tutti possano verificare entrate, uscite, numero dei dipendenti, quanti di costoro impiegati nell’assistenza ai migranti, quanti in altri settori».Il secondo suggerimento è indirizzato «ai firmatari della lettera aperta e a tutti i preti e vescovi residenti in città». L’invito è quello di accogliere nelle case parrocchiali e negli altri appartamenti dei sacerdoti «uno o due migranti o (nelle case più grandi) qualche famigliola». Se poi «alle case dei preti aggiungiamo quelle dei firmatari della lettera, la città di Como potrebbe dare un contributo significativo a livello nazionale» come «accoglienza e integrazione».«Lo sapeva bene don Renzo Scapolo – conclude il parroco di Grandate – Lui non si era limitato ai proclami e i profughi (libanesi, allora) se li era presi in casa. E anche in chiesa. Ma era un profeta, lui».

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