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Il caso Lugano, la parola ai portinai

L’integrazione vista dai rossocrociati. Nel libro di Giacomo Moccetti i problemi degli stranieri nella città sul Ceresio

Lugano (nella foto, una veduta dal lago), se vista dai custodi dei suoi palazzi, di centro e di periferia, è molto diversa da come appare ai turisti o ai frontalieri e persino agli stessi luganesi. Lo testimonia l’interessante e originale saggio scritto da un giovane giornalista, Giacomo Moccetti, che a Lugano è nato e cresciuto e si è laureato in Storia all’Università Statale di Milano.Custodi – Una città europea vista dagli stranieri. Il caso

Lugano (Giampiero Casagrande editore, Lugano-Milano, 2013, 10 euro) è il titolo della paziente e preziosa ricerca scaturita da centinaia di incontri e interviste con altrettanti custodi e portinai di palazzi luganesi. Il libro ha la prefazione di Carlo Ossola, studioso di letteratura italiana che dirige l’Istituto di Studi Italiani dell’Università della Svizzera Italiana a Lugano.Il paradosso più evidente è che proprio loro – che per la quasi totalità sono stranieri o “seconde generazioni” che hanno acquisito la cittadinanza svizzera – sono in grado di tracciare, molto meglio degli stessi luganesi, la mappa sociale di un determinato quartiere e fornirne un affresco di volta in volta curioso, preoccupante, desolato o pittoresco.Il custode, nell’indagine di Moccetti, spesso incarna appieno l’origine del nome, colui che protegge e conserva. Conosce a uno a uno gli inquilini del condominio, le abitudini, i guai. Spesso fa da badante agli anziani o da baby sitter ai bambini soli. Ma, a volte, capita anche che il custode faccia da aggregatore sociale.Com’è il caso di Luigi, punto di riferimento di un’associazione che riunisce gli abitanti del quartiere di Cassarate. Luigi organizza feste, grigliate, tornei sportivi. Un modo per guardarsi negli occhi, alleviare la solitudine (il vero male della cittadina, come ha modo di constatare Moccetti nel suo peregrinare di palazzo in palazzo), uscire dall’anonimato, aiutarsi nelle incombenze quotidiane.Poi c’è il caso del “Molino Bronx”. Difficile credere che a Lugano ci possa essere un quartiere anche solo lontanamente paragonabile alla parte “marcia” della Grande Mela. Il titolo del capitolo vuol essere provocatorio, certo, eppure qualcosa di inquietante trapela.È il quartiere delle famiglie “sussidiate” ossia aiutate con i contributi dello Stato. Un condominio con 119 appartamenti in cui convivono persone di lingua, cultura e religione profondamente diversi. Che spesso trascorrono le giornate senza far niente, con tutto il caos e la frustrazione che ne derivano.Qui le testimonianze dei custodi colpiscono per realismo e crudezza: «Abbiamo visto appartamenti ricoperti dalla polvere, escrementi lungo i corridoi, cibi scaduti… Vecchiette che chiamano perché hanno solo bisogno di scambiare un po’di chiacchiere». Parole che tracciano uno spaccato sociale che lascia aperte diverse questioni.«Lo studio di Moccetti – si legge nella postfazione dello scrittore Luca Doninelli, docente di Etnografia Narrativa all’Università Cattolica di Milano – è probabilmente il primo libro dove una città europea viene raccontata non da chi vi è nato, ma da chi vi è sbarcato, condotto qui dalle tempeste della storia e della cronaca: gli ospiti stranieri che oggi qui vivono e lavorano».Uno straniero che fa parte del paesaggio, ma non è ancora un soggetto attivo e spesso non per cattiva volontà di chi ospita ma anche per un rifiuto all’integrazione da parte di chi è ospitato.«Le comunità tendono a isolarsi, a fare vita a sé», scrive ancora Doninelli. Uno spaccato che non riguarda solo Lugano.

Katia Trinca Colonel

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