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Il falso made in Italy vale negli Usa 24 miliardi. In cima i formaggi

Nel Forum dell’agricoltura, la Coldiretti evidenzia anche i tanti problemi causati dai daziDazi Usa, sostenibilità e decreto sul clima, primo atto del green new deal. Sono i temi al centro del Forum internazionale dell’agricoltura e dell’alimentazione, in programma ancora per oggi a Villa d’Este a Cernobbio, organizzato dalla Coldiretti con la collaborazione di The European House – Ambrosetti. Dalla sostenibilità alla qualità, dalla sicurezza al boom del biologico fino a quello del turismo sostenibile, il Made in Italy vanta 10 primati che ne alimentano il successo in tutto il mondo. È quanto emerge dal Rapporto Coldiretti/Symbola sul Made in Italy e la sostenibilità. E l’agricoltura italiana è tra le più sostenibili con appena il 7,2% di tutte le emissioni a livello nazionale con un trend in calo dell’1% dal 2012 rispetto alla crescita registrata invece in Francia, Germania e Regno Unito.«Quella italiana è dunque un’agricoltura sostenibile come confermato dalle analisi – spiega Fortunato Trezzi, presidente di Coldiretti Como e Lecco – E questo è ovviamente un bene per il nostro settore».E quando si parla di agricoltura e di alimentazione, uno dei temi più “caldi” rimane sempre quello del falso made in Italy, di cui si è parlato sempre ieri al Forum. «I superdazi Usa su alcuni dei prodotti italiani più rappresentativi come il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano spingono il fatturato del falso Made in Italy negli Stati Uniti a 24 miliardi». È quanto emerge da uno studio presentato sempre dalla Coldiretti. A differenza di quanto avviene per altri articoli come la moda o la tecnologia, «a taroccare il cibo italiano non sono i Paesi poveri, ma soprattutto quelli emergenti o i più ricchi, a partire proprio dagli Stati Uniti, dove «il 99% dei formaggi di tipo italiano sono “tarocchi” nonostante il nome richiami esplicitamente le specialità casearie più note del Belpaese, dalla Mozzarella alla Ricotta, dal Provolone all’Asiago, dal Pecorino Romano al Grana Padano, fino al Gorgonzola», si legge nello studio.Le brutte copie dei prodotti caseari nazionali hanno avuto una crescita esponenziale negli ultimi 30 anni raggiungendo complessivamente i 2,5 miliardi di chili ed è realizzata per quasi i 2/3 in Wisconsin e California, mentre lo Stato di New York si colloca al terzo posto.In termini quantitativi «in cima alla classifica – precisa sempre l’analisi eseguita da Coldiretti – c’è la mozzarella con 1,97 miliardi di chili all’anno, seguita dal Parmesan con 192 milioni di chili, dal provolone con 181 milioni di chili». Necessari dunque controlli e interventi.«La pretesa di chiamare con lo stesso nome prodotti profondamente diversi è inaccettabile e rappresenta un inganno per i consumatori e una concorrenza sleale nei confronti degli imprenditori – ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini – Ora è necessario aprire la trattativa e una buona premessa possono essere le importanti relazioni con il presidente degli Stati Uniti Donald Trump che ha saputo costruire il premier Giuseppe Conte».

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