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Il futuro dei media? Sarà Second Life

Tecnologia. Un docente comasco dell’Università Bicocca, apprezzato autore di fantascienza, illustra alcune ipotesi sull’avvenire dei social network e della comunicazione

Seconda vita per “Second Life”, mondo virtuale che ha ancora un milione circa di fedelissimi duri e puri e dove ci si può inventare un’altra esistenza.Sembrava all’avanguardia fino alla metà degli anni Duemila, ma è stato soppiantato dall’avanzata dei social network come Facebook e Twitter (in ascesa rispetto al colosso di Mark Zuckerberg) che oggi i più consultano da mattina a sera come autentici oracoli.La rinascita di Second Life è stata prefigurata dal romanzo di un

comasco pubblicato nella prestigiosa serie di fantascienza Mondadori, “Urania”. È L’uomo a un grado Kelvin, romanzo di Piero Schiavo Campo, classe 1961, autore di Bregnano che ha vinto il “Premio Urania 2012”, concorso con cadenza annuale che permette di scoprire nuovi talenti nella “science fiction” e nei suoi vari sottogeneri. Schiavo Campo è nato a Palermo ma è vissuto a lungo a Milano, a parte alcuni anni a Bologna, in cui si è occupato di astrofisica. È docente a contratto di Teoria e tecniche dei nuovi media all’Università di Milano Bicocca.Il romanzo, di fantascienza ma dalla trama molto “thriller”, è ambientato nel 2061 e ha anche spunti sociali. Con critiche all’abuso delle tecnologie digitali, ad esempio. Per l’autore la sfida è stata dotare i computer e il web di questa fiction, con l’aiuto di consulenti informatici esperti, di un’interfaccia con l’utente molto simile alla nostra “Second Life”. Oggi è archeologia, siamo tutti a smanettare sugli smartphones, ma Schiavo Campo ipotizza che torni a dominare il web a metà secolo. Sarebbe geniale dotare i social network attuali di veri e propri avatar che l’utente può indossare a piacimento. Second Life è morta oggi perché il sistema non era agganciato al web. Per entrarvi occorreva un accesso a Internet, ma di fatto era un mondo separato. Invece se lo si integra nel sistema della rete di oggi e nei social come Facebook, per Schiavo Campo funzionerebbe, a patto di avere adeguata potenza di calcolo e una banda sufficientemente larga. Oggi siamo all’inizio, domani potrebbe essere il pane quotidiano.«Non si vedrebbero filmati in stile YouTube o simili – dice il professore della Bicocca – Ma ambienti tridimensionali con avatar come personaggi, il tutto con grafica in tre dimensioni. Cose del genere domani potrebbero essere alla portata di tutti. Sarei un po’ stupito se nessuno pensasse a questa possibilità che solo per rimanere all’ambito dei social network è assai più evoluta rispetto alle logiche di una semplice “chat”. Oggi i social sono ambienti finti in cui scarichiamo il nostro bisogno di socialità. Con una forma alla Second Life sarebbero più coinvolgenti».Un altro scenario tratteggiato da Schiavo Campo mette in gioco la “realtà aumentata” che mediante l’elaboratore elettronico permette l’arricchimento della percezione sensoriale umana mediante informazioni, in genere manipolate e convogliate elettronicamente, che non sarebbero percepibili con i cinque sensi: «È una possibilità vicina a essere realizzata – dice l’esperto lariano di media – e permette di mettere in contatto le proprie sensazioni visive o tattili con quelle di un altro essere umano, far vedere agli altri quello che si vede. In un social network farebbe la differenza».Come ha ammonito però lo scrittore Claudio Magris sul “Corriere della Sera”, l’eccesso di informazioni offerto dalla rete mette a rischio la cultura e nonostante la facilità con cui si possono reperire le notizie, le persone ignorano persino i fatti più banali del nostro mondo. Il profluvio di informazioni indebolisce la nostra capacità di selezionare e toglie tempo alla riflessione.«La domanda che dobbiamo porci è la seguente – chiosa Schiavo Campo – Quanto la nostra società è disposta a riconoscere a saperi e competenze il cui assemblaggio richiede magari studi lunghi anni? In futuro sarà sempre più vincente una conoscenza spendibile nell’immediato, di tipo “leggero” e quindi poco profonda».

Lorenzo Morandotti

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