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In tribunale ricordata la figura di Borsellino: «Paolo fu un esempio come il nostro Perretta»

Il procuratore auspica che la sentenza del maxi processo diventi un «testo per le nuove generazioni»Si è tenuta, ieri mattina in tribunale a Como, la commemorazione del 20° anniversario della strage di via D’Amelio, a Palermo, in cui persero la vita il magistrato Paolo Borsellino e gli agenti della scorta, Emanuela Loi (prima donna della Polizia caduta in servizio), Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Quel giorno ci fu anche un sopravvissuto: Antonino Vullo, ferito mentre faceva inversione di marcia con una delle auto della scorta.Il procuratoredella Repubblica, Giacomo Bodero Maccabeo, che in Sicilia ha a lungo lavorato (Gela, poi Locri in Calabria e ancora Caltanissetta e Trapani di nuovo sull’isola) ha scelto un modo insolito per ricordare Borsellino: prima auspicando che le pagine della sentenza del maxi processo contro Cosa Nostra possano diventare «un testo a disposizione delle nuove generazioni», poi ricordando una figura comasca sconosciuta ai più, che tuttavia portava nel Dna gli stessi valori di Borsellino, «uomini di fronte a cui ci dobbiamo inchinare per poi raccoglierne il testimone e seguire il loro esempio».Bodero Maccabeo ha così ricordato la vita di Pier Amato Perretta, giudice del Tribunale di Como, che pure in un periodo molto difficile della storia italiano, il Ventennio, non fece sconti ai fascisti giudicando nelle cause secondo coscienza e dando voce solo alla legalità. Per questo fu poi spostato a Lanciano. “Punizione” «che non lo piegò, visto che dopo un ricorso al Re caduto nel vuoto, decise di lasciare la magistratura». Perretta morì il novembre del 1944 in un combattimento a Milano. «Una emozione vera mi percorre ancora oggi quando parlo di quest’uomo – ha concluso il procuratore – Ricordai la sua figura anche a Trapani nel corso dell’inaugurazione di una sala dedicata a Falcone. Oggi parliamo di Borsellino, che morì 1.367 ore dopo il suo collega e amico. Entrambi hanno pagato la loro fedeltà agli ideali. Paolo sapeva di dover morire, si era definito “un morto che cammina”, eppure ha proseguito nella sua attività, un dovere che non poteva eludere. Noi possiamo solo inchinarci di fronte alla loro memoria e al loro eroico sacrificio».

Mauro Peverelli

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