Colpo di scena nel processo che si è concluso a Como per accuse di estorsione e false fatture che ruotavano attorno all’impianto di trattamento rifiuti de La Guzza a Camerlata. Erano cinque gli imputati, e tra questi anche un presunto appartenente al locale di ’ndrangheta di Lonate Pozzolo che, secondo il capo di imputazione, avrebbe messo sul piatto la sua «forza di intimidazione» per pressare il legale rappresentante (e parte offesa) di una azienda con sede a Busto Arsizio ad assumere persone e pagare spese di ogni genere, come vacanze, carte di credito per le mogli eccetera. Fatti che sarebbero avvenuti fino al settembre del 2018 tra Busto e La Guzza, impianto poi sequestrato.
Il Collegio di Como ha però ribaltato tutto, assolvendo tre dei cinque imputati «perché il fatto non sussiste», condannandone due a 9 mesi per rapina (e non per estorsione) e condannando invece a 4 anni per le presunte false fatture per operazioni inesistenti.
Il colpo di scena è però arrivato con la decisione dei giudici di restituire gli atti alla Procura per chiedere di indagare proprio la parte offesa (ovvero un uomo che era gerente dell’impianto de La Guzza oltre che legale rappresentante della srl di Busto Arsizio) per l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Da presunta vittima, insomma, a sospettato nel breve volgere di poche ore.
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