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«Incidente aggiustato»: condanne definitive. Ricostruzione stravolta per favorire il figlio di una funzionaria

Sentenza definita. Anche i giudici della Cassazione si sono espressi – confermando quanto deciso in Appello a Milano – sull’incidente automobilistico che sarebbe stato “aggiustato” per aiutare il figlio di una funzionaria di polizia coinvolto nell’impatto.Schianto che avvenne a Brunate, in via Como, il 9 novembre 2012 quando il figlio del medico della Questura Angela Napolitano, mentre scendeva in sella a una bicicletta con altri due amici, andò a sbattere contro una Opel Corsa condotta da un sessantenne del paese.Per quella vicenda quattro furono le persone indagate dal pubblico ministero Massimo Astori e poi condannate in tre gradi di giudizio.A finire nei guai non fu solo la Napolitano, ma anche l’allora vice comandante della Stradale Gian Piero Pisani, il marito della dottoressa e pure un assistente capo, sempre della Stradale. In primo grado a Como le sentenze di condanna erano state di 2 anni e 8 mesi per Pisani, 3 anni e 4 mesi per la Napolitano, 2 anni per il marito del medico della Questura e 2 anni e 6 mesi per l’agente.L’Appello aveva in seguito rideterminato la pena per l’agente in un anno e 8 mesi.Il ricorso ulteriore in Cassazione non ha invece modificato la sostanza e la sentenza è dunque diventata definitiva.Non sono dunque state accolte le tesi della difesa rappresentate dagli avvocati Giuseppe Sassi, Pierfrancesco Lotito e Livia Zanetti, mentre la parte civile era assistita da Davide Brambilla e Luca Calabrò.Secondo quanto sostenuto dalla Procura di Como, versione che a questo punto diventa (al pari della sentenza) “definitiva”, la dinamica e la ricostruzione dell’incidente furono ribaltate a vantaggio del ragazzo ciclista e in danno dell’automobilista.Vicenda che finì con l’essere assorbita dalle indagini che anni fa decapitarono i vertici della polizia stradale di Como.I giudici di Appello, nelle motivazioni della condanna di secondo grado, avevano parlato di «omissioni contenute nel verbale» in modo da non arrivare alla «effettiva ricostruzione» di quanto avvenuto, il tutto per «non evidenziare le responsabilità» del figlio della funzionaria della Questura «nella causazione dell’incidente». Fatti che vennero definiti «comprovati oltre ogni ragionevole dubbio».Un «quadro probatorio granitico posto alla base della pronuncia di condanna» che nemmeno di fronte ai giudici romani ha presentato crepe.

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