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Informazione fra diritto di cronaca e privacy. I media nell’era di Facebook

I media nell’era di Facebook, Twitter e Instagram. La notizia fra diritto di cronaca e tutela della privacy. Come orientarsi? L’avvento di Internet, e in particolare dei social network, sta rivoluzionando il mondo dell’informazione e il panorama editoriale italiano, che vive una crisi di identità. Utile quindi anche ai non addetti ai lavori, bussola di orientamento, è il nuovo volume del professor Ruben Razzante della Cattolica di Milano da poco uscito per Cedam (Gruppo Wolters Kluwer), settima edizione del suo “Manuale di diritto dell’informazione e della comunicazione. Innovazione giuridica della Rete e deontologia giornalistica”. Un supporto giuridico per tutti gli operatori del settore ma anche uno strumento capace di garantire a un pubblico generalista, esteso e diversificato, alcuni strumenti fondamentali per capire i molteplici fenomeni del mondo dell’informazione. Gli utenti della rete e dei social sono in progressiva crescita ed è bene che non navighino a vista. Il volume affronta le ultime novità normative giurisprudenziali e dottrinali (nazionali, europee ed extraeuropee) su importanti temi di attualità: diritto all’informazione, pluralismo, giornalismo, editoria online, privacy e diritto di cronaca, diffamazione a mezzo stampa e a mezzo Internet, diritto all’oblio e diritto d’autore. Di particolare interesse le pagine sul regolamento europeo sulla privacy, destinato a cambiare la disciplina del trattamento dei dati personali in tutta Europa.

Razzante, si va sempre più verso i media digitali, anche se la carta stampata vuole resistere. Con quali rischi? «Oggi aumenta la consapevolezza nell’uso della rete – dice il professore – Non è più terra di nessuno. C’è meno giungla rispetto a qualche anno fa. L’importante è che venga salvaguardata la specificità del lavoro giornalistico: gli editori valorizzino il lavoro in sè riconoscendo che alcune cose possono farle solo i giornalisti. Alcune competenze, il senso della notizia, la capacità di renderla fruibile a un pubblico indifferenziato, dal manager alla casalinga, le hanno solo loro. Occorre introdurre elementi di riconoscibilità del lavoro giornalistico in rete. Ad esempio, si potrebbero obbligare i giornalisti iscritti all’Ordine a firmare i propri articoli con il numero di tessera professionale. Aiuterebbe a distinguere i veri giornalisti, che rischiano in proprio se diffondono bufale, e gli avventurieri della notizia. Anche Google si è mossa in questa direzione, valorizzando la professionalità di chi produce notizie in modo competente».

E su terreni parimenti scivolosi come la tutela del diritto d’autore?  «C’è da augurarsi – dice il professor Razzante – che gli utenti siano più responsabili nella pubblicazione di contenuti di cui spesso perdono il controllo. Quando ci si iscrive a un social, è bene imparare le regole del gioco. Ad esempio, non è vero che pubblicando su Facebook ne cediamo il diritto: cediamo la disponibilità gratuita di quel materiale, ma non per fini commerciali. Tutto questo secondo me porta a dire che bisognerebbe fare più educazione digitale, fin dalle scuole dell’obbligo, per diffondere la cultura dell’uso responsabile dei contenuti in rete».

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