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Italia-Svizzera: «Il telelavoro che annulla le distanze sarà la sfida decisiva per il futuro»

L’emergenza da Covid-19 ha inaspettatamente impresso un’accelerazione ai negoziati tra il nostro Paese e la Confederazione Svizzera per la modifica dell’accordo concernente i lavoratori frontalieri: il 23 dicembre 2020 è stato infatti raggiunto il compromesso che ha portato alla firma di un nuovo accordo sul regime impositivo riservato ai frontalieri. Come inquadrare storicamente questo evento? Lo chiediamo a Paolo Barcella, storico dell’Università di Bergamo e studioso in particolare del fenomeno dell’emigrazione e del frontalierato.«La questione relativa all’imposizione fiscale è sempre stata al centro dei dibattiti che riguardano il lavoro frontaliero, poiché i Paesi di residenza hanno sempre rivendicato percentuali dei prelievi fiscali imposti sui salari dei frontalieri, dal momento che le loro famiglie gravano sulle infrastrutture dei comuni d’origine – dice Barcella – Anche quando il processo di integrazione europea vide la concretizzazione della libera circolazione attraverso appositi decreti attuativi, sul tema del lavoro frontaliero si mantenne comunque la necessità di specifici accordi bilaterali tra gli Stati, là dove era presente il rischio di sottoporre i lavoratori a un regime di doppia imposizione fiscale».«Il dibattito relativo alla questione fiscale – aggiunge il docente – è molto articolato e implica un meticoloso lavoro di definizione dei caratteri e delle specificità del frontalierato, nel quale si stabiliscano le dimensioni delle “fasce di frontiera”, le regole per il loro attraversamento e le aspettative rispetto alla frequenza dei rientri. Aspetti che sono legati, peraltro, al grado di sviluppo tecnologico, soprattutto nell’ambito dei trasporti e delle modalità di lavoro, dal momento che lo stesso sviluppo tecnologico incide sui tempi di percorrenza cui i frontalieri devono sottoporsi. Non è un caso se, nell’accordo appena firmato, si prevedono consultazioni e adeguamenti periodici in materia di telelavoro».Proprio lo smartworking rappresenta una delle novità con cui il frontalierato dovrà sempre più fare i conti.«Il telelavoro, dal momento che deterritorializza, annulla la distanza casa-lavoro ed elimina la necessità di attraversare la frontiera, costituisce una grande sfida nell’ambito del frontalierato, con conseguenze decisive e in gran parte ancora da chiarire – sottolinea il professor Barcella – Nella misura in cui il Covid-19 ha avuto grosse conseguenze sul tema del telelavoro, ha costretto le parti ad accelerare la riflessione in merito».Da una parte la pandemia che complica la vita dei frontalieri con i salari più bassi, in aziende dove è più facile licenziare, dall’altra il nodo del telelavoro, usato solo da una frazione dei frontalieri dato che la maggioranza lavora in presenza ed è sempre più vitale per l’economia svizzera anche in questa fase (Rsa, infermieri). C’è secondo lei una coscienza, se non di classe, di categoria di appartenenza che fa sì che il frontaliere possa essere in grado di resistere a questa temperie, e in tale ambito che ruolo hanno i sindacati?«In generale il nostro tempo è caratterizzato da una scarsa volontà e capacità di leggere i propri problemi in una prospettiva collettiva. La pandemia è in questo senso un evento che ci sta costringendo a farlo, perché siamo tutti trasversalmente colpiti, indipendentemente dalla professione e dalla classe sociale. Poi, certo, le conseguenze su alcune classi, categorie e soggetti sono maggiori e peggiori che su altre. Evidentemente, un evento che ha avuto come prima conseguenza quella di limitare la mobilità, ristabilire e chiudere confini doveva avere conseguenze enormi su lavoratori pendolari internazionali, la cui peculiarità è proprio quella di attraversare continuamente i confini. Decisiva sarà soprattutto la questione del telelavoro, il modo in cui verrà recepito e integrato nel lavoro di domani: questo favorirà processi di ristrutturazione di alcuni ambiti e settori professionali, con conseguenze evidenti sull’organizzazione, sulle modalità e dinamiche di impiego, sui contratti. Fondamentale – conclude Barcella – sarà che i frontalieri e i sindacati abbiano la capacità di interpretare e comprendere i processi in questione, per il loro impatto generale e non solo per le ricadute sul posto di lavoro di ciascuno: il ruolo dei sindacati sarà evidentemente decisivo sul terreno della contrattazione sindacale».

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