La presenza della “Quarto Savona 15” in piazza Garibaldi a Cantù è stata fortemente simbolica.Proprio queste lastre, infatti, sono state nel recente passato protagoniste di un processo approdato in aula a Como, che aveva messo al centro dell’attenzione il tentativo della ’ndrangheta di controllare i locali e le attività che si affacciavano sulla piazza. La sentenza di primo grado aveva condannato nove imputati a una pena complessiva di oltre un secolo, riconoscendo a quattro di loro l’appartenenza al Locale malavitoso di Mariano Comense. Il 24 luglio 2020 l’Appello aveva confermato l’impianto accusatorio, abbassando però le pene a un totale comunque impressionante di oltre 90 anni, ribadendo il coinvolgimento dei quattro imputati principali nella ’ndrangheta. La firma definitiva è arrivata dalla Cassazione che ha respinto tutti i ricorsi che erano stati presentati.La sentenza su piazza Garibaldi è dunque diventata definitiva, confermando il tentativo che c’era stato della malavita organizzata di stampo calabrese di controllare le attività commerciali della zona. «È bene precisare – fanno subito notare nelle motivazioni i giudici romani – che nessuno dei ricorrenti contesta l’esistenza del Locale di Mariano Comense», e Cantù «era controllata dal Locale di Mariano». Due gli elementi che secondo la Cassazione sono fondamentali per capire la presenza della ’ndrangheta in città: «la gambizzazione» del nipote del boss proprio a Cantù e la mancata reazione all’agguato cui tuttavia fece seguito una visita, il 23 gennaio 2014, di uno degli imputati al boss che all’epoca era ai domiciliari. «Sintomi di uno scontro all’interno del locale di Mariano Comense» con il cambio dei vertici e il passaggio delle attività prima gestite dal nipote del boss al nuovo rampollo emergente. E le attività prima gestite dal nipote del boss ruotavano appunto attorno a piazza Garibaldi e al loro controllo.La sentenza della Cassazione passa poi in rassegna sia le paure delle vittime dei pestaggi che ritiravano le denunce una volta intuito con chi avevano a che fare, sia l’omertà dei gestori dei bar e della discoteca che accettavano «atteggiamenti di prevaricazione» da parte del «gruppo dei calabresi» che tutti ben conoscevano.«Il gruppo agiva secondo una composizione a geometria variabile – si legge nella sentenza – ma con identiche modalità comportamentali connotate da atteggiamenti violenti e prevaricatori anche nei confronti degli avventori». C’era chi si sentiva «intimorito dalla “fama” del gruppo», chi «accettava la protezione», chi «era determinato a vendere il proprio locale proprio a causa del clima “poco sereno” di piazza Garibaldi». Quella stessa piazza che aveva dovuto sentire in aula i «non ricordo» delle persone definite «reticenti», sopportando la «condizione di omertà e il tentativo di minimizzare l’accaduto e le condotte estorsive» da parte dei testimoni che erano stati chiamati a parlare di quanto accadeva nel pieno centro di Cantù, sotto il campanile di San Paolo. Dopo anni, siamo comunque arrivati alla condanna di tutti e nove gli imputati. Oggi possiamo dire che in piazza Garibaldi si muoveva la ’ndrangheta. Anche per questo, la “Quarto Savona 15” che negli scorsi giorni ha presidiato il centro brianzolo, è stata una presenza simbolica. La supremazia dello Stato, seppur ferito in quelle lamiere contorte, sull’anti-Stato.
La Corte di Cassazione respinge tutti i ricorsi. In piazza Garibaldi si muoveva la ’ndrangheta

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