Due relitti, a poca distanza l’uno dall’altro, sommersi da circa 135 metri d’acqua. Due drammi e altrettanti morti, sepolti nel lago da quasi un secolo a circa 300 metri dalla riva di Gravedona. I resti del motoscafo armato silurante (Mas), inabissatosi durante il collaudo nel 1918, e quelli della batisfera Kalin, affondata due anni dopo nel tentativo di recuperare l’imbarcazione. Due anni fa, i sommozzatori dei vigili del fuoco della Lombardia, impegnati in un addestramento sulle operazioni
di ricerca anche a profondità elevate, hanno riletto la storia di quelle due tragedie del lago e hanno deciso di andare alla ricerca dei resti del Mas e della batisfera.Obiettivo raggiunto. Entrambi i relitti sono stati identificati, localizzati con certezza e fotografati. Nei prossimi mesi, almeno per quanto riguarda Kalin, potrebbe essere messo a punto anche un progetto di recupero. Il primo passo dovrebbe essere un’indagine approfondita del relitto, fatta da un palombaro che possa completare il lavoro fatto due anni fa dall’occhio elettronico e dalle braccia meccaniche del robot subacqueo. Per ipotizzare il recupero occorre valutare le condizioni dei resti della batisfera. Inoltre, è necessario affrontare i risvolti, anche legali, legati alla presunta presenza, all’interno della capsula, del giovane pilota Riccardo Schena, rimasto intrappolato all’interno della Kalin. Vicine allo zero invece le possibilità di recuperare il Mas e i resti del meccanico Giovanni Godi, vittima dell’incidente.Godi è morto il 17 aprile 1918. Il Lago di Como era stato scelto per un’operazione di collaudo della barca motosilurante Mas. La nave però si inabissò davanti a Gravedona. Il meccanico rimase intrappolato nella barca, mentre gli altri componenti dell’equipaggio riuscirono a mettersi in salvo. Due anni dopo, il 24 novembre 1920, la batisfera Kalin, una capsula sottomarina progettata per le ricerche sott’acqua, tentò il recupero del Mas. A bordo del mezzo c’era il giovane Riccardo Schena. Forse a causa di un incendio o di un guasto, la batisfera imbarcò acqua, il cavo metallico si spezzò e la capsula affondò, probabilmente a poca distanza dalla motobarca.Rimasti per quasi un secolo sul fondo del lago, davanti alla riva di Gravedona, i due relitti erano stati quasi dimenticati. Fino alla svolta, avvenuta due anni fa grazie al lavoro dei sommozzatori dei vigili del fuoco e dell’intuizione di Vincenzo Irace, allora coordinatore del nucleo della Lombardia.A 300 metri circa dalla riva e a 135 di profondità, il robot dei vigili del fuoco ha individuato quelli che con ogni probabilità sono i resti della batisfera. Le fotografie mostrano chiaramente l’oblò, l’elica e la base di appoggio della capsula sottomarina. A poca distanza, i vigili del fuoco hanno scoperto anche un relitto che è quasi certamente la carcassa metallica del Mas.
Anna Campaniello
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