C’è un intreccio sottile ma resistente che lega i centri del
“potere” comasco. Quello economico, in primo luogo. E quello politico.
Un intreccio che annoda fili talvolta spezzati e che alcuni,
nel silenzio e nell’indifferenza generale, pazientemente riavvolgono.
Quanto sta succedendo alla Fondazione Volta è un esempio
concreto di questo sistema. Pochi sanno che a dicembre dello scorso anno tre
soci fondatori decisero di lasciare la Fondazione: Confcommercio,
Confartigianato e Ance spiegarono di non poter più sostenere la spesa per la
quota associativa (10mila euro) e uscirono così dalla compagine sociale. Anche
il sindacato – Cgil e Cisl – denunciò il costo oneroso della quota annuale,
scegliendo tuttavia di rimanere. La motivazione economica non convinse tutti.
Ma costrinse i più a prendere atto della situazione. Almeno fino all’insediamento
dei nuovi amministratori e del nuovo presidente, nominato su indicazione della
Camera di Commercio e sostenuto dal centrodestra.
Da quel momento, qualcosa è cambiato. Gli industriali, che
nel cda della Fondazione occupano un ruolo determinante (hanno almeno 4
consiglieri su 10), si sono messi in testa di ricucire la tela. E hanno
lavorato per far rientrare artigiani, commercianti ed edili nella compagine
societaria. L’ultima assemblea ha sancito formalmente questa possibilità: è
stato infatti dato mandato al Cda di stabilire nuove quote – si parla di 3mila
euro all’anno – e di fare in modo che il pagamento degli arretrati non sia
troppo pesante. C’è da chiedersi: perché?
È ovvio che una Fondazione Volta più debole non è un bene
per nessuno. Il presidente, Luca Levrini, spiega che «il vero patrimonio della
Fondazione è la partecipazione» e ribadisce la volontà di «rimettere i soci al
centro» del lavoro dell’ente. Il consigliere Graziano Brenna parla di «nuovi
progetti» ed esclude che il recupero dei soci sia legato al bisogno di
rafforzare il bilancio «che è sempre stato solido».
E allora?
Forse – ma questa è soltanto un’ipotesi – l’obiettivo vero è
un altro: rafforzare un centro di elaborazione comasco nel momento in cui la
Camera di Commercio, nuovamente allargata a Lecco e svuotata in parte di
risorse e compiti, dovrà occuparsi più di burocrazia che di economia reale.
Oppure, rinsaldare il rapporto tra mondo produttivo e
università senza delegare troppo alla politica. Che soprattutto in città, in
questo momento, appare piuttosto debole. Certo è che la strategia di alcune
associazioni – uscire dai luoghi in cui si ragiona attorno al futuro o dagli
asset chiave del territorio, vedi Villa Erba o appunto Fondazione Volta – non
sembra essere logica.
Specie se poi, una volta dentro la cabina di regia di via
Parini, si è in qualche modo costretti a tornare sui propri passi.
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