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La lettera per la Casa del Fascio. «Prassi incredibile e avventata»

(f.bar.) Restituire la Casa del Fascio alla città? L’idea, balzata agli onori delle cronache nei giorni scorsi, continua a far discutere. La richiesta di far traslocare gli uomini della guardia di finanza, oggi unici inquilini di Palazzo Terragni, è stata messa nero su bianco dal sindaco di Como Mario Lucini e dall’assessore alla Cultura Luigi Cavadini e spedita al presidente del Consiglio, Enrico Letta, e al ministro dei Beni culturali, Massimo Bray.«Prassi incredibile e avventata che

denuncia la scarsa conoscenza e comprensione del problema che richiedeva piuttosto un progetto tecnico e finanziario analitico e fondato». Le parole sono del noto critico d’arte lariano Luciano Caramel. «Premesso questo, va ribadito che la Casa del Fascio non può divenire un museo di alcunché, perché è, e non può essere altro, che un museo di se stesso, in quanto capolavoro tra i maggiori dell’architettura mondiale del ’900. Inviolabile e immodificabile».L’unico inserimento ipotizzabile «è quello delle opere eseguite da Mario Radice proprio per la Casa del Fascio quando ancora era in costruzione, tra il 1935 e il 1938, in stretto rapporto con Terragni», dice Caramel. Tornando all’ipotesi della trasformazione in spazio museale «non è pensabile neppure se si trattasse, come vedo si propone, di un museo del Razionalismo. Mentre sarebbe stato possibile farne la sede degli Archivi del Razionalismo, da collocare negli spazi già progettati da Terragni per gli uffici come s’era pensato negli anni ’60-’70 – spiega il critico d’arte – Il Comune istituì un’apposita commissione, di cui fui membro, ma, per varie ragioni, non se ne fece nulla».Le idee non mancano. «Quegli spazi, dotati di una biblioteca specifica e di idonei strumenti telematici, potrebbero invece ospitare attività di ricerca e didattica. Senza trascurare le implicazioni e le valenze simboliche e ideologiche di quella che, non va dimenticato, fu una Casa del Fascio», spiega Caramel. Per quanto infine riguarda lo spostamento dall’attuale sede del comando della guardia di finanza, «che non solo ha curato egregiamente la manutenzione del palazzo ma lo ha salvato, nell’immediato secondo dopoguerra, dalla vendita indiscriminata all’asta con fini solo commerciali, destinandola a una totale ristrutturazione, va considerata la permuta tutt’altro che facile con un’altra sede degna dell’immagine e delle funzioni della Finanza stessa», conclude il critico comasco.

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