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La lezione di musica di Ivana Spagna

Lo scorso   25 ottobre è uscita, a distanza di 10 anni dall’ultimo album di inediti, una raccolta di nuove canzoni della cantante comasca Ivana Spagna.  Prende titolo dal suo anno di nascita, “1954”. Come fece Lucio Dalla con “1983” per festeggiare i suoi quarant’anni, ma qui il tabù da vincere non era solo mettere in pubblico il privato, ma segnare una ripartenza.«Sono stufa di nascondere la mia età, voglio che si sappia. Io sono questa donna che si vede in copertina, io sono così. Punto e basta – aveva dichiarato al nostro giornale – “1954” è una ripartenza, mi sento giovane dentro e pronta a sfidare il mondo. Perché la musica è soprattutto passione».Una ripartenza che il coronavirus ha in parte interrotto.  «L’album ha avuto poco tempo per decollare – dice Ivana – nel   tour internazionale che avevo preparato ho avuto appena il tempo di  garantire al mio pubblico appena tre date, a Strasburgo, Nancy e Digione.  Poi il virus ha bloccato tutto. E pensare che ne avevamo molte altre, ad esempio in Danimarca, a Madrid e a Malta. Sono saltate tutte. Per me era un evento, da tempo a causa del mio terrore di volare, nato durante una trasferta in Italia, un volo su Palermo, avevo sospeso i concerti all’estero. Anche se il mio pubblico è stato per lungo tempo internazionale e solo grazie al “Re Leone” con la canzone “Il cerchio della vita” il pubblico italiano ha decretato il mio successo. Per anni sono stata più conosciuta all’estero che nel mio Paese».Un successo, “Il Re Leone”, che ha un quarto di secolo. Ma come si fa a rimanere sulla breccia per così tanto tempo? «Lo dico sempre ai giovani che vengono a salutarmi in camerino e vorrebbero intraprendere una carriera  musicale. Se non avete passione, rinunciate. I talent show possono aiutarvi a emergere, farvi salire in alto, ma se rischiate l’effetto meteora, se dopo un paio di stagioni sparite dalla circolazione, solo la passione può tenervi a galla. I talent danno una visione falsata della vita ai ragazzi, c’è chi tocca il cielo ma poi rischia di cadere a terra. Molti scompaiono, devono ripartire da zero a costo di depressioni. I talent danno l’idea che il successo sia qualcosa di facile  da ottenere, ma la   vita cambia in un attimo e  occorre sempre fare una buona gavetta, avere basi più che solide, e soprattutto lo ripeto serve   passione. Passione vera. Suonare dal vivo, cioè quello che più ci manca oggi, avere il contatto con la gente. Questo serve. Sono le fondamenta essenziali, come quelle di una casa. Più sono profonde e più ti sostengono nei momenti bui che sicuramente incontrerai. Madonna e Lady Gaga, star sempre sulla breccia, sono eccezioni: la botta prima o poi arriva sempre. L’unica scuola che può servirti nella vita è fatta di  pazienza e  sacrificio, quelle cose che solo la passione ti rende facili da sopportare. Altrimenti potete anche lasciar perdere».Il mondo dello spettacolo è tra i più in crisi a causa della pandemia. Cosa è cambiato nella musica rispetto agli anni in cui Ivana ha mosso i primi passi? «Una volta – dice – per emergere dovevi arrangiarti, io ad esempio mi sono autoprodotta, per anni con la mia band ho suonato nelle discoteche e ho fatto ballare al ritmo degli Chic, di Donna Summer e dei Kool and the gang. E poi abbiamo continuato su quella strada. Allora c’erano etichette e produttori che credevano in te, ti facevano crescere, ti selezionavano. Oppure come noi potevi autoprodurti. Poi con Easy lady sono venuta allo scoperto e mi sono fatta conoscere anche come personaggio. Adesso invece rimangono i talent show:  le etichette non fanno la fatica di costruire dei personaggi, lanciano prodotti già selezionati. Ora con la pandemia siamo tornati all’autopromozione.  E forse è un bene, la pandemia ha livellato tutto e adesso con Internet se c’è qualcosa di buono riesce a venire fuori grazie al consenso popolare. Non ci sono etichette o discografici o talent che fanno da mediatori».Cosa le manca di più del suo pubblico? «Lo amo perché è trasversale, non vedo l’ora che riparta tutto e così potrò tornare in tournée con la mia band che è prontissima. Mi manca il rapporto con la gente, quello che più ti fa amare questo lavoro. È l’adrenalina che ti regala l’entusiasmo, e che tu restituisci al pubblico. È una cosa bellissima e io l’ho sempre vissuta così. Negli anni Ottanta avevo nel mio pubblico molti bambini, mi vedevano un po’ come una matta scatenata, una tipo le Winx. Ora quei bimbi sono diventati grandi, e vengono ai miei concerti con i figli e magari anche con i nipoti. Sono un fenomeno che abbraccia tante generazioni e questo mi dà una gioia immensa. Nella nuova scaletta metterò solo pochi brani del nuovo album, penso che non sia giusto proporre un intero nuovo disco al pubblico in una volta sola. Le canzoni vanno assimilate, cantate con gli amici, in famiglia. Trovo una mancanza di rispetto nei confronti del pubblico riproporre un intero album appena uscito, è una forzatura che non ho mai sopportato».

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