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La peste a Proserpio nel romanzo storico di Bruno Cocco

La vita quotidiana, la carestia, la peste nello scenario seicentesco di Proserpio, piccolo paese dell’Alta Lombardia posto sopra il Piano d’Erba, rivivono con solide basi documentarie – e con risvolti d’attualità inimmaginabili in epoca preCovid – nel romanzo “Nostro Signore vi guardi. La peste del 1630 tra terrore, fede e fatalismo” scritto da Bruno Cocco e rieditato recentemente da Marna (127 pagine, 10 euro) dopo la prima pubblicazione nel 2002.Inevitabile il richiamo a Manzoni e alle sue fonti: nel piccolo borgo di Preserbe – così Proserpio è chiamato nel libro secondo la denominazione dell’epoca – giungono infatti gli echi dei grandi eventi milanesi narrati nei Promessi Sposi, riportati a frammenti da qualche prelato locale o da qualche occasionale viaggiatore.Ma l’originalità dell’opera e la vivezza della ricostruzione storica hanno fondamento in documenti locali: in primis una cronaca della peste del 1630 scritta dall’allora parroco di Proserpio, don Carlo Cantio, e conservata nell’archivio parrocchiale.Scrive Bruno Cocco nella postfazione: “…Anche in questo borgo di trecentocinquanta anime si vivevano giorni di terrore per il morbo pestilenziale portato a Incino d’Erba e a Proserpio da un mercante di bestiame appena tornato da Mandello del Lario».Inoltre, «sempre in quei giorni trovava tragico epilogo un’altra vicenda di provincia che dava al documento un sua originalità»: una storia d’amore giovane e autentica, in antitesi con le regole sociali e funestata da un segreto innominabile, che l’autore inscrive nei grandi eventi contemplando il tutto con profonde riflessioni.L’appassionata lettura dei documenti conservati a Proserpio ha condotto Bruno Cocco a rievocare non solo i fatti accaduti, ma anche il sentimento collettivo di quella triste esperienza e persino il linguaggio con cui fu tramandata.Grande pregio del libro è infatti la fine originalità della scrittura, che assorbe dalle fonti vocaboli, sonorità, costruzioni sintattiche e sembra scaturire dall’epoca stessa.Spiega l’autore: «Trascritta nel linguaggio dell’epoca … trovavo la storia piena di fascino ma ritenevo potesse scoraggiare il lettore; ridotta in italiano corrente, mi appariva defraudata di espressioni e lemmi la cui freschezza era persa nella lingua moderna. Cercai l’aurea via mediana, che poteva rendere il testo di più immediata comprensione (specie in Lombardia) conservando una forma letteraria anticata e parecchie voci che avevano suscitato in me una simpatia profonda».Molti luoghi di Proserpio – stradicciole, fontane, selve, aree montane, luoghi di culto – sono citati nel romanzo con i nomi tradizionali sopravvissuti fino a oggi, suggestivi per le radici storiche echeggiate dai toponimi.Bruno Cocco, di origini sarde, vive da molto tempo a Proserpio e ha all’attivo, oltre alla passione storico-letteraria e a diverse pubblicazioni, una lunga vita da infermiere.Il piccolo e pittoresco paese brianzolo di adozione è stato oggetto di una sua ricerca storiografica ed è al centro di un altro suo romanzo, Il segreto del monte pubblicato da Marna nel 2009.Giuliana Panzeri

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