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La riflessione su Como. Terragni: «Abbiamo una tradizione di eccellenza. Impone interventi di altissima qualità»

L’architetto comasco Attilio Terragni, pronipote del razionalista Giuseppe, il padre della Casa del Fascio del 1936, è reduce da una conferenza sull’architettura comasca dai Magistri Comacini alla Thomas Jefferson University a Philadelphia, con cui poi terrà la sua scuola estiva di architettura all’Asilo Sant’Elia di via Alciato.«Quando vado all’estero parlo sempre delle antiche eccellenze lariane, anzi di quella che chiamo “terra comacina”», dice Terragni, che insegna anche allo storico Bauhaus di Dessau. E precisa: «Prima di tutto va sottolineato con forza che per quanto riguarda l’eccellenza architettonica Como ha un primato invidiabile, abbiamo una tradizione comacina di altissimo profilo, che parte dal VII secolo e passa attraverso punte assolute come l’esperienza dei Maestri Comacini, e poi Francesco Borromini, Carlo Maderno, fino ai Razionalisti comaschi. Insomma Como ha una identità forte, che deve rivendicare. L’unico problema, gravissimo, è che se ne è dimenticata e quindi non osa: tanto per entrare in temi attuali come l’assenza di grandi mostre, preferisce chiamare al telefono Vittorio Sgarbi. Eppure la terra comacina per l’architettura corrisponde al valore che ha avuto Firenze per la pittura, e potremmo andare avanti all’infinito a sciorinare nomi di grandi personalità in questo campo. E Milano non ha lo stesso pedigree».E quindi come mai, mentre Milano è decollata negli ultimi 15 anni, Como è rimasta al palo e vive di ricordi?«Negli ultimi trent’anni a Como si è dimenticata questa eredità – dice Attilio Terragni – Purtroppo il livello delle amministrazioni è andato scemando e ha portato la città allo sbando. La tendenza è sempre stata mettersi di traverso rispetto a qualsiasi proposta di sviluppo della città. Abbiamo avuto bravissimi architetti, ma sono andati via tutti, perché si è ridotta la cultura del progetto a burocrazia. Ma l’architettura non vive solo di norme e regolamenti, che sono impliciti in ogni buon progetto che va a finire sul tavolo di un ufficio tecnico. Spero siano i corsi e ricorsi della storia. Capita che in una squadra ci siano solo brocchi, dopo tanti anni di vittorie. Spero che Como prima o poi abbia una dirigenza, un allenatore e una squadra, tanto per rimanere nella metafora calcistica, degni del passato che ha alle spalle».E Milano a cosa deve questo suo primato?«Alle amministrazioni che hanno liberato la città e reso possibili operazioni come City Life, in cui ho personalmente lavorato. Quando arriva un progetto simile non lo puoi frenare e per fortuna ora Milano ha un pezzo di città del XXI secolo virtuosa e avveniristica. Che dà l’esempio: l’importante anche per Como è siglare tra amministratori e operatori un patto, che imponga di pretendere sempre e comunque una grandissima qualità negli interventi; parlo non solo delle aree dismesse ma anche di una semplice facciata o di un marciapiede. Perché in una città piccola come Como che ha un Dna così alto gli orrori saltano più all’occhio, che in una vasta metropoli». E il Comune? «Non deve progettare, non ce la fa. L’amministrazione locale deve avere un ruolo di stimolo, e deve essere all’altezza del blasone della città che amministra e quindi essere preparata e attenta a questi temi».Anche il presidente dell’Ance di Como, Francesco Molteni, in una recente intervista al nostro giornale, aveva rimarcato il ruolo di traino di Milano. «Il dato che emerge fortissimo – aveva detto il numero uno degli edili lariani – è che Milano sta tirando moltissimo, da dopo l’Expo è diventata catalizzatrice e ha una trasformazione significativa».E il presidente di Ance Como ha sottolineato un altro fattore importante in questo tipo di ragionamenti su larga scala che coinvolgono il futuro del territorio lariano, e cioè che Como se non vuole rimanere satellite di Milano deve avere collegamenti efficaci con il capoluogo lombardo: «Si è stati capaci di attuare e realizzare le infrastrutture oltre agli edifici, perché non può esserci disconnessione tra le due cose. Gli investitori internazionali partono da un principio molto banale ma solido: quanto dista l’area per fare l’investimento dal primo centro nevralgico? Se il tempo oltrepassa la mezz’ora l’investimento diventa meno appetibile. Quindi avere infrastrutture efficienti è una precondizione fondamentale».

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