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La voglia di vivere negli occhi dei malati di “Sla”

L’iniziativa – Ieri mattina, a Villa Gallia, l’incontro del vescovo con l’unità di Riabilitazione cardio-respiratoria “Paola Giancola” di Mariano ComenseTestimonianze commoventi e incitazioni alla speranza lette dai familiari e dagli stessi pazientiIl loro corpo è spesso immobile. La gola collegata a un respiratore artificiale. Comunicare, per loro, è difficile. Pronunciare parole è a volte impossibile. Ma nei loro occhi brucia la voglia di vivere. Nel loro sguardo è scritta una storia che non vuole finire. «Sla»: tre lettere che suonano come una condanna, una sentenza inappellabile. La sclerosi laterale amiotrofica è una malattia che stravolge la vita non soltanto di chi ne è affetto, ma anche di intere famiglie. Ieri mattina, a Villa

Gallia, il vescovo di Como, monsignor Diego Coletti, ha incontrato alcuni malati di Sla. Ha ascoltato le loro testimonianze, le riflessioni dei familiari. E ha ascoltato anche il loro silenzio.La manifestazione è stata voluta e organizzata da Antonio Paddeu, direttore dell’unità di Riabilitazione cardio-respiratoria “Paola Giancola” dell’ospedale “Felice Villa” di Mariano Comense. «Dal 2005 siamo punto di riferimento per i malati di Sla – ha detto Paddeu – Che cosa ci colpisce quando abbiamo a che fare con il quotidiano dei malati? Prima di tutto la loro solitudine. Alcuni non escono più di casa e questa è una sconfitta. Fino a questo momento – ha proseguito il medico – abbiamo seguito 67 pazienti. Alcuni hanno scelto di non sottoporsi alla tracheotomia e si sono lasciati morire nel giro di pochi mesi. Spesso i malati si sentono di peso ed effettuano la loro scelta pensando alla famiglia. Noi vogliamo che non si sentano soli».Le testimonianze dei familiari sono drammatiche, ma anche poetiche. A volte sono illuminate da qualcosa che manca a chi è sano e conduce una vita normale: la speranza. «Sono la moglie di Carmelo – ha detto una donna, che ha proseguito leggendo una lettera del marito – Lo scorso autunno ho avvertito alcuni fastidi che non potevano essere considerati semplici acciacchi. Ancora oggi mi offende il modo in cui mi fu comunicata la sentenza; ad alta voce, nella sala d’aspetto di un ospedale di Milano. Non ho voluto intendere la diagnosi come una sentenza, ma come una dichiarazione di guerra alla malattia, che mi ha lasciato lucido e critico».Commozione, dolcezza. E perfino gioia. «Cari, carissimi compagni di viaggio – ha esordito invece Cristina Gianoli, figlia della signora Annamaria, di cui ha letto un contributo – vi saluto e vi abbraccio anche se non vi conosco. Ci unisce un filo rosso che è la malattia. Sono malata da 5 anni e vorrei parlare della Sla anche sdrammatizzandola. Mi sono inventata una nuova vita, anche per dare un po’ di speranza a tutti. Mia mamma non si è arresa – ha poi aggiunto la figlia – Ha scritto un libro, esce di casa, va al ristorante nonostante la tracheotomia. Affrontiamo la vita passo dopo passo. Continua a essere felice, lo auguro a tutti voi».Piero, costretto dalla malattia su una sedia a rotelle, ha preso la parola soltanto per ringraziare sua moglie. Guardandola negli occhi, le ha detto quanto le è grato. «Dobbiamo lottare, tutti insieme – ha detto Sebastiano Castorina, caposala del reparto “Paola Giancola” – altrimenti la società cieca e ipocrita si dimenticherà di voi».

Marco Proserpio

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