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La Zona Economica Speciale piace a molti. Ma costa 10 miliardi

Zone franche, carte sconto, agevolazioni fiscali, aiuti alle imprese. Le ricette che promettono il rilancio di un’economia debole (e in crisi) sembrano destinate inevitabilmente a transitare dal vicolo stretto della politica. E a discendere da interventi legislativi che riversino sul territorio una badilata di miliardi. Il trionfo del mercato celebrato sul molto vituperato altare nazional-statale. Sul carro addobbato e in marcia verso gli attesi sussidi governativi intendono salire in tanti. La torta appare grande e il desiderio di afferrarne una fetta si fa irresistibile.

Da qualche settimana – complice, forse, la crisi del governo Renzi e una probabile campagna elettorale – è ripresa con una certa foga la discussione sull’istituzione nella fascia pedemontana lombarda delle cosiddette Zone Economiche Speciali (Zes). Si organizzano convegni e si stilano tabelle. Mentre la Lega Nord insiste nel chiedere una calendarizzazione in Parlamento della proposta di legge votata in consiglio regionale l’8 luglio 2014 e subito dopo depositata alla Camera dei Deputati.

L’idea della Zes piace più o meno a tutti gli attori politici e sindacali. Almeno a parole. Piace un po’ meno agli esperti, agli economisti e ai giuristi. I quali hanno spiegato in un paio di convegni i limiti strutturali di una proposta che appare irrealizzabile. Come sempre, le osservazioni tecniche più critiche finiscono in una valle muta. Sui media rimbalza soltanto l’eco fragorosa delle richieste impossibili. Negli ultimi tre giorni sia il sindacato (Cgil-Unia) sia alcuni Comuni hanno chiesto che la Zes non sia individuata con il criterio della fascia di frontiera (così come la carta sconto benzina) ma in modo diverso: con il sistema «dei Comuni che ricevono i ristorni» o calcolando la distanza dal confine svizzero «in linea d’aria» e non sul «percorso stradale più breve».

Un dibattito surreale. Lunare. Primo, perché l’istituzione della Zes comporterebbe, secondo quanto proposto nel disegno di legge lombardo, una spesa di 9,79 miliardi di euro in 8 anni; secondo, perché le aree di aiuto sono state già individuate nel 2012 e in Lombardia sono soltanto tre: il territorio che circonda la Malpensa, il perimetro attorno al distretto tecnologico di Vimercate e Codogno. Né Como né Varese sono state inserite nell’elenco delle aree svantaggiate su cui intervenire con le Zes. Se ne riparlerà nel 2020 sempre che qualcosa, nel frattempo, non cambi lo scenario.

Eppure, come detto, alcuni studiosi dell’area di frontiera hanno analizzato il tema della Zes facendo emergere le contraddizioni più importanti. Umberto Galmarini, che insegna scienze della finanza all’Insubria, ha spiegato che «applicare agevolazioni fiscali nelle Zes significa sì ridurre le tasse alle imprese ma anche, al contempo, produrre un minore gettito nelle casse dello Stato con conseguente aumento della spesa pubblica».

Mentre Gioacchino Garofoli, probabilmente il maggiore esperto di economia transfrontaliera, ha sempre insistito sulla necessità di una «governance integrata tra Ticino e province di confine» che passi attraverso «un’alleanza tra territori», qualcosa cioè che «obblighi a ragionare insieme sui problemi». Da.

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