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L’amarezza di Mario Di Salvo: «Quella fontana non è più mia. Oggi è una pietraia senza senso»

Ma per il progettista «oggi Como toglie un po’ troppo»«Quella non è più la mia opera. Non è più il mio progetto». Reagisce così il progettista comasco, Mario Di Salvo, alla notizia che il Comune ha intenzione di far sparire da via Cairoli, come ha annunciato al “Corriere di Como” l’assessore al Commercio Gisella Introzzi, quella che dal 1998 era la fontana davanti alla gelateria, per far posto a

panchine e tavolini.«Se fosse possibile, la rimetterei in funzione. Ma così come è oggi è solo una pietraia senza senso. E poi ha subito nel tempo vari vandalismi, come il versamento massiccio di detersivi che con la loro schiuma ridondante non hanno certo favorito la salute delle piante», dice ancora Di Salvo. Sì, perché il progetto originario lanciato durante la prima giunta Botta, subito dopo il riassetto di piazza Volta firmato dallo stesso progettista, prevedeva giochi d’acqua, illuminazione soffusa e salici piangenti a carezzare i ciottoli di lago su cui si basa la struttura. Oggi rimangono solo quelli.«Tutto per replicare idealmente la presenza dell’acqua secondo quelle che erano in origine le caratteristiche morfologiche delle sponde lariane – spiega Di Salvo – Lo spunto era riportare la memoria del lago all’attenzione dei comaschi, visto che l’elemento “acqua” era di fatto stato separato dalla città con la passeggiata a lago nata con l’Esposizione Voltiana. Mi avvalsi per la parte botanica della consulenza del compianto Alfredo Ratti».Una situazione, la separazione dal lago, che sembra vocazione nel Dna dei lariani, visto che è stata replicata a caro prezzo con la vicenda “paratie” negli anni Duemila. Ma l’architetto Di Salvo, sulla falsariga del “caso” fontana di via Cairoli, torna con la memoria anche all’altro suo progetto del 1998, piazza Volta. Per lui ogni città è un palinsesto dove si stratificano varie realtà, nei confronti delle quali bisogna porsi con coerenza e proprio per questo ha voluto valorizzare il “cannocchiale visivo” realizzato dalla posizione asimmetrica della statua del fisico che unisce via Garibaldi e piazza Roma con linee luminose nella pavimentazione, pensate come intervento di arte contemporanea degno del padre della pila. Ma anche quell’elemento è stato cancellato. «È una città, questa Como di oggi, che leva un po’ troppo», commenta amareggiato. E ha un altro motivo di tristezza: «Sempre per piazza Volta avevo pensato a una serie di sedie girevoli come motivi di aggregazione modulari, molto più efficienti di una panchina che obbliga a voltarsi per guardarsi negli occhi. Ma nell’indifferenza generale, pur essendo state regolarmente pagate con soldi pubblici, sono state eliminate». Per Palazzo Cernezzi le sedie girevoli erano insicure, dato che si staccavano ripetutamente pezzi metallici. «Peccato che intanto ne abbia realizzate sullo stesso mio disegno 25 in una sua piazza Goppingen, città a 42 chilometri da Stoccarda, nel Baden-Württemberg», conclude Di Salvo.E proprio sul tema dell’opportunità che il pubblico amministratore privi la città di qualcosa che ha fatto pagare ai cittadini, s’innesta un “caso” politico all’interno della maggioranza di governo a Como. Sì, perché – «senza fare polemica, come contributo al dibattito» – l’assessore al Patrimonio di Palazzo Cernezzi Marcello Iantorno non manda giù quanto proposto dalla collega Introzzi e di cui è venuto a conoscenza dal nostro stesso giornale. «Obiettivo principale dovrebbe essere il ripristino e la valorizzazione dell’intervento a suo tempo realizzato, per curarlo con una migliore tecnica. Se si pensa a un intervento migliorativo diverso, occorrerebbe conoscerne i contenuti o quantomeno le idee e anche sapere da dove si prendono i mezzi, nella certezza che le pubbliche finanze oggi impongono altre urgenti priorità», spiega Iantorno. Che prosegue, rincarando la dose sull’opportunità di rinunciare a un’opera pagata dai contribuenti: «Non ritengo praticabile la astratta e ipotetica soluzione di reperire le risorse necessarie all’intervento dai commercianti, interessati alla rimozione dell’opera pubblica per un uso commerciale dello spazio. La rimozione di un’opera pubblica che a suo tempo comportò una spesa dovrebbe essere giustificata da superiori e motivate ragioni pubbliche, che non mi sembrano sussistere nella mera occupazione commerciale del suolo».

Lorenzo Morandotti

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