RispondeAgostino Clerici
Mi ha fatto impressione il recente servizio sul “Corriere di Como” sulle tante (troppe!) aree dismesse e abbandonate al degrado nella città. Aree, edifici, pezzi di ferrovia, ex fabbriche e via dicendo. È vero che la crisi non aiuta i privati a riconvertire questi beni di loro proprietà e preferiscono, quindi, lasciarli nell’abbandono.È vero che il pubblico deve affrontare oneri (anche burocratici) troppo grossi per intervenire celermente (pensiamo al Politeama, alla Santarella e via elencando) e sappiamo che le casse del Comune sono quasi vuote.Tuttavia, la posta in gioco – secondo me – è troppo alta per lasciare le cose come stanno. Pensiamo soltanto a problema del degrado anche estetico di questa benedetta “città turistica”, ma anche alla sicurezza in pericolo e non certo da sottovalutare.Possibile che non si possa organizzare un “tavolo” a livello istituzionale per affrontare seriamente il problema?
La prima reazione – mi perdoni il lettore, che è bene intenzionato nella sua proposta – è quella di sbottare: “No, un altro tavolo, no…”.Siamo pieni di tavoli istituzionali, di commissioni, sottocommissioni, gruppi di lavoro, consulenze (alcune profumatamente pagate) e il loro numero sembra essere inversamente proporzionale ai risultati.Non nego che sedersi ad un tavolo sia importante, talvolta decisivo per guardarsi negli occhi e definire le coordinate di un problema, ma deve trattarsi di un preliminare in vista di un processo di soluzione del problema stesso, altrimenti brucia tempo e produce solo carta.La questione delle aree dismesse, pubbliche o private, è complessa.L’incuria degenera naturalmente nel degrado. Ora, una prima preoccupazione che dovrebbe caratterizzare l’azione dell’amministratore è quella della prescrizione della messa in sicurezza.Un privato può non avere i soldi per sistemare un’area dismessa o riqualificarla, ma gli deve essere imposto perentoriamente di metterla in sicurezza, cioè di renderla tale che non costituisca un pericolo o un danno d’immagine per la città.Su questo punto, purtroppo, ho il sospetto che le ordinanze, posto che siano intimate, vengono facilmente aggirate e restano inevase o che le soluzioni poste in atto si dimostrano assolutamente inefficaci.Succede cioè che le ordinanze diventano consigli e tutto naufraga nel pressappochismo, e le aree dismesse si degradano ogni giorno di più.Un altro grave problema è l’intersecarsi dell’abbandono di queste aree con la fame abitativa dei senza-fissa-dimora.I disperati che non sanno dove dormire sono attirati da questi luoghi in cui nessun cittadino osa entrare. Sono scomodi e luridi, ma garantiscono un tetto e soprattutto permettono di stare nascosti (questo vale soprattutto per quanti delinquono o non sono in regola con i permessi di soggiorno).Le aree dismesse diventano così anche covi di clandestinità, ma restano comunque luoghi malsani: è indecente e inaccettabile che degli esseri umani – fossero pure delinquenti – vivano in simili condizioni di disagio e di sporcizia.Si dà la colpa alle casse vuote e alla crisi che continua a mordere.Difficile negare che sia così.L’importante è che non diventi, questo, un facile alibi per non fare niente.Felice Luoni
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