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«Le società in crisi demografica scompaiono». Il calo degli alunni è un segnale preoccupante

Il calo demografico non solo è inarrestabile ma potrebbe portare all’estinzione di un’intera popolazione, la nostra. Non si tratta di presagi sinistri ma dei freddi quanto espliciti dati statistici.A tracciare un excursus storico di una realtà che ci sta forse sfuggendo di mano e ad analizzare una società sempre più proiettata verso il futuro e le innovazioni tecnologiche, che però potrebbero non servire più a nessuno, è il professor Paolo Luca Bernardini, direttore del Dipartimento di Scienze umane e dell’Innovazione del territorio dell’Università dell’Insubria, con alle spalle approfonditi studi demografici storici.Lo spunto per questa riflessione nasce da un convegno organizzato dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani (Anci) a Milano dove, affrontando il tema dell’istruzione, si è evidenziato come in Lombardia la scuola primaria (elementari) avrà a settembre circa 10mila alunni in meno.Un calo che in provincia di Como si traduce in una flessione significativa perché per la prima volta dal dopoguerra la scuola d’infanzia e la scuola primaria avranno meno sezioni dell’anno precedente. Secondo i dati ufficiosi comunicati dal Provveditorato alle organizzazioni sindacali, nell’anno 2019/20 si perderanno sul Lario tre sezioni di scuola dell’infanzia e sei sezioni delle elementari. E nella primaria si parla di 600 bambini in meno.«Si tratta di una situazione nota. Il calo demografico registrato in Italia nel 2018 ci riporta alla situazione esistente nel 1918. Si è registrata la stessa natalità di quanto accadeva ai tempi della prima guerra mondiale, quando venne anche richiamata la classe del 1899 – spiega il professore – Ebbene, ritrovarsi in tempo di pace in una situazione identica a uno dei più tragici momenti storici non può che allarmare. E la prima ricaduta si ha sulle nuove generazioni. I banchi di scuola saranno sempre meno occupati, come sottolineato dai dati comaschi».Occorre allora cercare di comprenderne le cause. «Innanzitutto ciò deriva dall’assoluta sfiducia delle nuove generazioni nel futuro. Passo molto tempo a stretto contatto con i ragazzi e io stesso osservo questa tendenza. Avere figli e creare una famiglia non è più una priorità. Ragazzi e ragazze in piena età fertile a tutto pensano tranne che a fare figli». Una situazione italiana ma non solo. «A livello globale ciò che contraddistingue una società sana è la crescita demografica, la natalità. Il limite che già denota un pericoloso avvicinarsi alla fine di una popolazione è di 2 figli per donna. In Italia, così come in Lombardia, siamo a 1,6, ben al di sotto del limite e siamo prossimi a raggiungere l’1,4, ovvero l’estinzione. Società in crisi demografica scompaiono», afferma il professore.«Negli ultimi dieci anni l’Italia si è mantenuta sui 60 milioni di abitanti grazie all’immigrazione ma adesso pure questo fenomeno si sta contraendo e si riflette anche sulle iscrizioni scolastiche». Sia a livello di primarie e scuola dell’infanzia sia a livello universitario. «Lo vediamo anche dalla contrazione nella richiesta della figura, che l’Insubria contribuisce a formare, del mediatore culturale», aggiunge il professore. E come contraltare c’è il fatto che nei Paesi islamici vi è invece «un’altissima fertilità. Ad esempio in Egitto, si è triplicato negli ultimi 50 anni l’indice di natalità e oggi ci sono 100 milioni di persone che occupano un territorio in larga parte desertico».Una visione globale che inevitabilmente si riflette anche sul numero di scolari ma che incide anche sugli aspetti occupazionali visto che una riduzione degli studenti può causare una diminuzione degli insegnanti necessari. Ma il fenomeno non sembra possa essere arrestato. «Addirittura in certe regioni come quella da cui provengo, la Liguria, siamo già a un livello pari a 1,2. E, anche se un po’ macabro, mi ha sempre impressionato un fatto. Ormai da 10 anni là dove un tempo c’era la mia scuola elementare, è stato aperto, visto lo spopolamento di studenti, l’ufficio comunale che si occupa delle pratiche funebri», conclude amaramente il professor Bernardini.

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