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Maestra a processo per maltrattamenti, mossa a sorpresa della difesa

Mossa a sorpresa nel processo in corso a Como per presunti maltrattamenti da parte di una maestra d’asilo 43enne nei confronti dei bambini dell’asilo in cui lavora. Nel corso dell’ultima udienza infatti, l’avvocato della difesa – Giuseppe Colucci – ha prodotto una sentenza (nel frattempo già diventata definitiva) proprio per maltrattamenti in famiglia sulla moglie e sulla suocera a carico però di uno dei genitori dei bambini coinvolti nella vicenda (un patteggiamento a 2 anni).

Un particolare sottoposto alla valutazione del giudice, visto che la maestra ha sempre negato con forza ogni accusa di violenza sui bambini e visto anche che proprio il genitore coinvolto fu uno di quelli in prima linea nella vicenda che ha poi portato l’insegnante davanti al giudice.La sentenza, che era attesa per l’ultima udienza, arriverà forse in occasione della data successiva che è stata fissata ad ottobre. Quel giorno, prima delle conclusioni delle parti, in aula verrà sentito anche l’ultimo dei testimoni, un maestro.

L’indagine risale al 2017 ed era stata condotta dagli agenti della squadra mobile anche con l’utilizzo di telecamere nascoste all’interno della scuola. Sarebbero almeno quattro le piccole vittime ma sono tre le famiglie che si sono costituite parte civile.La maestra ha sempre respinto le accuse e aveva anche mostrato una lettera firmata da altri genitori della classe in difesa dell’insegnante.Contro di lei però ci sono anche i 45 giorni continuati di osservazione fatta dagli uomini della questura proprio grazie alle telecamere installate nell’asilo.

Una osservazione che iniziava all’alba, prima che i bambini giungessero in aula, e che terminava solo dopo che l’ultimo alunno se n’era andato. Gli uomini della Mobile di Como avevano riferito, di fronte al giudice Cristiana Caruso, i giorni caldi dell’indagine e in aula erano state visionate le immagini. «Anche noi eravamo in classe con i bambini in quei giorni – aveva raccontato un uomo della Mobile – Li conoscevamo per nome, avevamo imparato a riconoscerli».

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