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Mannheimer: «La situazione è pessima». Perdere il lavoro è la paura più grande

Il convegno sulla recessioneSecondo il noto sondaggista la crisi ora tocca tutti direttamente«Avrei voluto fornirvi notizie migliori, ma i numeri non lo consentono. I dati sull’atteggiamento degli italiani sono brutti, decisamente brutti. Segno di una situazione pessima». L’economista e sondaggista Renato Mannheimer, chiamato a Erba, ieri pomeriggio, da Cna Como per un incontro sul tema “L’economia cambia. Quale futuro?” non ha lesinato motivi di preoccupazione. Lo ha fatto con garbo e ironia, addirittura con vivacità, ma la situazione è quella: pessima. Addirittura in peggioramentorispetto agli anni precedenti, quelli comunque della crisi. Gli italiani sono infatti molto preoccupati, e questa non è una novità. Risulta però nuova la preoccupazione, oltre che per il Paese e in genere l’economia, anche per il proprio “particolare”. Se il 98% degli intervistati si è dichiarato molto o abbastanza preoccupato in generale, passando alla situazione economica propria o comunque familiare la percentuale è risultata dell’89. Tanto, tantissimo. Segno che la crisi non è più un’entità esterna, astratta, ma che è arrivata a toccarci tutti o quasi direttamente. «Il tipico atteggiamento italiano del “comunque io me la cavo” – ha spiegato Mannheimer – funziona sempre meno. Siamo sempre più preoccupati per noi stessi oltre che per il Paese o il mondo intero».In cima ai pensieri il lavoro. Che spesso manca, e se c’è appare comunque instabile, a rischio. Anche in questo caso i numeri della ricerca Ispo lo confermano, con un 98% di molto o abbastanza preoccupati in generale che scendono – ma di poco – all’80% per la propria situazione lavorativa. «Più della crisi in generale, più delle difficoltà di accesso al credito – ha sottolineato Renato Mannheimer – è il posto di lavoro, anzi la sua perdita, a spaventare. I dipendenti ma anche i datori di lavoro, preoccupati per i propri collaboratori».Se poi si aggiunge il fatto che, per la prima volta dal 2008, i pessimisti sono più numerosi degli ottimisti, non c’è di che stare allegri. Unico, flebile segnale di incoraggiamento le previsioni sulla fine della crisi, che per il 34% degli interpellati terminerà tra più o meno un anno: fine 2013, forse inizio 2014, dunque. Ma, intanto, sono cambiate le abitudini, siamo cambiati un po’ tutti: più attenti a risparmiare, meno propensi a spendere, con meno risparmi accantonati, anche se i presidenti delle banche di credito cooperativo locali (Giovanni Pontiggia per quella di Alzate Brianza e Angelo Porro per quella di Cantù), al riguardo sono apparsi più ottimisti. A suscitare perplessità è anche un altro aspetto, e cioè quello relativo al peggioramento progressivo della “sensazione” della crisi. Mai come ora, tra il 2008 e gli anni successivi, si è misurata una preoccupazione così diffusa. E mai così pochi (solo per il 5% degli intervistati) sono stati i segnali di ripresa rilevati.Se, insomma, solo ieri il presidente di Cna Enrico Benati su queste stesse colonne si diceva moderatamente ottimista sul comparto, i numeri vanno in tutt’altra direzione. Una possibile soluzione? Rimettere al centro dell’attenzione l’impresa, come fonte di benessere diffuso. Lo hanno rimarcato il prefetto di Como, Michele Tortora, e il presidente della Camera di Commercio lariana, Paolo De Santis.

Giorgio Civati

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