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Maurizio Martellini, fisico dell’Insubria: «Serve un ufficio per gestire le emergenze»

«Non siamo in guerra, non è Chernobyl. L’Oms dice che il coronavirus non è al centro di una pandemia. Si guarisce. Purtroppo gestire un’epidemia in un mondo globalizzato e con la cacofonia dei social networks è una impresa difficile».Parola del fisico Maurizio Martellini, consulente della Fondazione Alessandro Volta e professore dell’Università dell’Insubria  dove lavora al Dipartimento di Scienze ed Alta Tecnologia. Come orientarsi allora in una situazione che appare caotica e allarmante?«Ci sono state all’inizio delle decisioni non ponderate a sufficienza – dice Martellini, esperto di sicurezza a livello internazionale – come il fatto delle migliaia di tamponi sui potenziali pazienti asintomatici invece delle poche centinaia fatte negli altri Paesi europei e solo sui pazienti sintomatici quando era evidente che coronavirus-Sars-2019 (Covid19) era già circolato tra noi a causa delle due settimane perse dal governo cinese a comunicare la gravità dell’epidemia». Va considerata anche, prosegue Martellini, «l’alta densità dei contatti personali della galassia delle piccole e medie imprese lombarde e venete con la Cina».Ma non siamo in guerra, va ribadito. «L’esperienza su altre epidemie passate dovute ai coronavirus quali la Sars e la Mers hanno ampiamente mostrato – dice Martellini – che la prassi del contenimento e della ricerca della catena delle infezioni è l’unica fattibile: i vaccini richiedono almeno un anno. Mettiamoci bene in testa che Sars, Mers e Covid19 non sono la terribile peste nera della metà del XIV secolo o la Spagnola del 1918. Oggi l’epidemiologia, le prassi d’igiene pubblica e la biotecnologia impediscono a queste epidemie di trasformarsi in pandemie con decine di milioni di morti. Dobbiamo assolutamente fidarci della scienza».Una domanda all’esperto di armi di distruzione di massa incluse quelle biologiche: qualcuno vede nel caso coronavirus un’arma biologica sfuggita di mano.«Covid19 non è un virus da arma biologica: gli eventuali virus da guerra biologica hanno una diffusione “a cono” con il vertice nel laboratorio militare da cui è sfuggito il virus e la eziologia delle cause-effetti è completamente diversa» dice Martellini. Che invita a considerare l’eccellenza italiana nella gestione clinica-sanitaria.«L’autonomia regionale – sottolinea – è una conquista, permette di sviluppare e implementare soluzioni efficaci e innovative. In primis, ricordo a tutti la gravità dei danni causati dai sistemi decisionali centralizzati in tempi di grandi crisi del passato, come Chernobyl dell’Unione Sovietica nel 1986, la Sars della Cina nel 2003 e il disastro delle centrali nucleari di Fukushima del 2011. E per tornare in Italia ricordo che il nostro sistema sanitario è uno dei migliori al mondo per l’ovvia ragione che essendo pubblico e intrecciato con il mondo accademico medico, permette di evitare le polarizzazioni e fare profitti a qualunque costo, come è invece negli Usa».Che cosa manca allora? «Una robusta presenza di fondazioni scientifiche private che facciano il loro mestiere di accettare i rischi del mercato e non di chiedere sempre il supporto statale. In particolare, i Centri di malattie infettive come il Sacco a Milano e lo Spallanzani di Roma, coadiuvati dall’Istituto Superiore della Sanità, sono assolutamente di eccellenza a livello mondiale. Ricordo in particolare che lo Spallanzani è stato tra i primi centri mondiali a sequenziare il genoma di Covid19 e a sperimentare con successo il mixing di due farmaci antivirali (il Lapinavir/Ritonavir  usato per l’infezione Hiv e il Remdesivir  usato per il virus Ebola) che riducono i rischi mortali di tale coronavirus».Quali sono le misure da adottare per rendere efficiente il sistema e fronteggiare crisi come queste, allora? «Il sistema regionale italiano dovrebbe dotarsi di un Ufficio dell’Emergenza alle dipendenze dei Governatori che coordinano sul territorio le misure sanitarie nazionali senza la pretesa di sostituirsi alle medesime. I responsabili di queste strutture dovrebbero essere civili e non militari per il semplice ed ovvio motivo che una epidemia non è una guerra. Quando ero ad Harvard nel 2003, cioè dopo il tragico 11 settembre 2001, ci si aspettava un attacco biochimico da parte dei gruppi terroristici di Al Qaeda, e la raccomandazione principale che facemmo alle autorità municipali, statali e federali americane fu proprio questa. Inoltre – conclude il professor Martellini – suggerisco di stimolare (se non obbligare) gli insegnanti di scienza e delle discipline attinenti a Fisica, Scienze ambientali, Chimica e Biologia degli istituti medi e superiori a regolari aggiornamenti prima dell’inizio dei corsi, come ad esempio sulle realtà delle infezioni e sulla relativa profilassi. Infine nelle regioni a più alto Pil regionale va assolutamente incentivato il telelavoro».

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