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Merone guarda preoccupata a un futuro senza la Holcim

Dopo 85 anni spaventa l’ipotesi di una chiusura dell’impianto

impossibile, trovare a Merone e dintorni una persona che non abbia almeno un familiare, un amico, un conoscente o un vicino di casa che lavori alla Holcim, azienda entrata di diritto nella storia del paese. «Tutti hanno mangiato o mangiano con la Holcim», per dirla proprio nel modo più semplice e con una frase ripetuta in tutti i contesti. Guardando la ciminiera, Claudio Colombo fa un tuffo nel passato.«Mio padre ha lavorato 30 anni alla cementeria – dice – fino agli anni ’70. Gli operai erano oltre 500. Da bambino, ogni sabato pomeriggio con la famiglia andavamo al cinema in azienda. C’era lo spaccio interno riservato ai dipendenti, ricordo che mia mamma andava a fare la spesa di generi alimentari a prezzi convenienti. Aveva una tessera apposita. E noi bambini potevamo anche andare in colonia gratuitamente d’estate, al mare o in montagna. È un dispiacere pensare che possa chiudere – aggiunge Colombo – Credo che il problema sia legato soprattutto al blocco della cava. Non sono un tecnico, ma penso che l’azienda abbia fatto il possibile per mettere e tenere a norma i propri impianti».Molti sono convinti che la decisione finale di bloccare il forno sia legata alle limitazioni sulla possibilità di attivare una nuova cava nel Lecchese. «È la voce più diffusa – conferma anche Mario Molteni – Purtroppo, in caso di stop del forno ci andranno di mezzo tante famiglie. E non dobbiamo pensare soltanto ai dipendenti ma anche all’indotto. Conosco persone di aziende esterne che lavorano solo con la cementeria, la preoccupazione è grande».Pina Binda è sulla stessa lunghezza d’onda. «Il mio vicino di casa lavora alla Holcim, ha due bambini piccoli e il mutuo da pagare – dice – È ovvio che sia preoccupato, anche perché in questo momento non esistono alternative. Giudico gravissimo in questo momento ostacolare le aziende tanto da costringerle a chiudere. La cementeria non ha mai creato problemi».Antonio Molina, capostazione in pensione, vive davanti alla Holcim. «Nel 1983, quando sono arrivato, qui si respirava cemento – ricorda – Da anni non c’è più alcun tipo di problema. La mia casa è accanto al passaggio a livello e le uniche difficoltà che ho riguardano i tanti automobilisti che non spengono il motore quando le sbarre sono abbassate. La Holcim non fa polveri né rumori».«Vivo qui da 26 anni e umanamente sono davvero dispiaciuto – dice il responsabile della polizia locale, Serafino Marelli – In tanti anni di servizio, ormai, conosco tutti per nome, per storia di vita. Nella zona chiunque ha qualcuno che lavora alla Holcim o nell’indotto. Purtroppo, anche se tutti hanno vissuto sulla cementeria, non c’è stato grande aiuto quando si è trattato di evitare il blocco della cava. Di più, sotto molti aspetti sembra si sia tentato di mettere i bastoni tra le ruote all’azienda».La crisi è comunque innegabile. «Fino a qualche anno fa arrivavano anche cinquanta camion all’ora – dice Fumagalli – Oggi, quando mettiamo l’autovelox, che serve anche per monitorare il numero di veicoli in transito, in 3-4 ore di servizio registriamo un massimo di 80-100 mezzi pesanti. La differenza si nota e il declino è progressivo già da qualche tempo. Credo che si dovesse vigilare molto di più sull’andamento della situazione, invece i problemi sono stati sottovalutati».L’incognita sul futuro della cementeria è un peso enorme per Merone.«Il problema è sentito direttamente da tutti i cittadini – conferma ancora il responsabile della polizia locale – La preoccupazione è enorme, questo è innegabile».Dall’esterno, l’immagine della Holcim è quella che da ormai 85 anni è entrata a far parte del “paesaggio” di Merone.A ricordare la situazione di grave crisi e incertezza ci sono soltanto le bandiere delle organizzazioni sindacali. Bandiere appese all’esterno, a poca distanza dall’ingresso. Oltre al via vai di camion sempre più ridotto. Un elemento che sfugge all’occhio “esterno” ma non a chi, attorno alla cementeria, è nato e cresciuto.

Anna Campaniello

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