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Minacce ed estorsioni: 57 anni di pena in Appello

Piccoli sconti di pena, ma all’interno di un impianto accusatorio confermato.Si è svolto a Milano il processo d’Appello per la lunga serie di vessazioni che portarono un carrozziere dell’Olgiatese a presentarsi alla Direzione distrettuale antimafia per raccontare quanto gli stava accadendo. Da quell’atto di coraggio, che portò a un ringraziamento pubblico all’artigiano da parte della stessa Ilda Boccassini, nacque un’inchiesta che consentì di sgominare più locali di ’ndrangheta. In quattro sono poi finiti a processo, per reati (a vario titolo) come estorsione, minacce, droga e l’incendio di 14 auto nella carrozzeria della vittima.A nessuno degli imputati è mai stata contestata l’appartenenza alla malavita organizzata, pur nell’ambito di quella che la Procura riteneva una certa vicinanza.La figura ritenuta essere maggiormente coinvolta, che a Como in primo grado aveva rimediato 30 anni di cella, ha visto la pena in Appello ridursi a 24 con la concessione delle attenuanti generiche. Un altro imputato è sceso da 21 a 19, mentre agli ultimi due a processo sono stati confermati i 7 anni. Il totale dunque, se a Como gli anni complessivi di carcere erano stati 65, a Milano è sceso a 57. Comunque una decisione pesante per una storia di cui si era parlato a livello nazionale proprio per la volontà del carrozziere (vessato) di presentarsi alla Dda per raccontare quanto stava avvenendo.De segnalare che la richiesta dell’accusa a Como si era fermata a poco più di 40 anni complessivi, con un massimo di 19 per i singoli imputati.L’indagine – come detto – era nata dalla denuncia del carrozziere che, nell’agosto del 2014, dopo anni di indecisioni, si presentò all’antimafia per raccontare la propria storia.Il pm – nella propria requisitoria a Como che era durata sette ore – si era soffermato molto sulla figura dell’artigiano vessato che decise di raccontare tutto. «Perché dopo tanto tempo? – aveva detto il pubblico ministero – Perché era una persona impaurita, intimidita. Le sue parole, fatte nel mio ufficio, non furono menzogne ma racconti di una persona che viveva in uno stato di sottomissione, che non si fidava nemmeno delle forze dell’orine».I racconti fatti a Milano dal carrozziere comasco servirono anche ad avviare indagini su un giro legato alla criminalità organizzata di stampo calabrese che anni dopo portò a sgominare più locali di ’ndrangheta attive sul territorio della provincia di Como.

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