Il commentodi Mario Rapisarda
Negare. Negare sempre. Anche l’evidenza.È un vizio (o un pregio?) della politica italiana da tempo immemore quello di non arrendersi mai, neppure quando i fatti sono lampanti.Luigi Cavadini, nonostante si sia affacciato all’esperienza amministrativa da pochi mesi, è riuscito comunque nella difficile impresa di non rimanere indietro.Anzi, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo, osando là dove neppure si avventurano le aquile. Difendendo a spada tratta una débâcle, quella
della sua prima grande mostra, degna di Caporetto o Waterloo.Primo: pochi, anzi pochissimi visitatori, meno di 17mila. Secondo: almeno 200mila euro di buco. Terzo: l’essere riuscito a oscurare, così facendo, un genio, un patrimonio della cultura comasca come Antonio Sant’Elia.Un trittico, va detto, assai poco invidiabile.Nonostante ciò lo stesso Cavadini, con grande sicumera, dice di non aver alcuna intenzione di dimettersi e addirittura rilancia per l’anno prossimo.L’assessore alla Cultura del Comune di Como, con queste sue affermazioni, mi ha riportato alla mente un ricordo ormai sopito.Giugno 1987, ero un ragazzo o poco più. Siamo ancora nella cosiddetta Prima Repubblica.Alle elezioni politiche il Pci prende una scoppola notevole, segnando di fatto la fine della sua crescita di consensi nel Paese. L’allora segretario (e politico di razza) Alessandro Natta, successore di Enrico Berlinguer, si presenta davanti alle telecamere della Rai e dice con disarmante tranquillità ai giornalisti che lo incalzano: «Si è trattato di una moderata vittoria».La stessa “moderata vittoria”, Luigi Cavadini l’ha ottenuta con la sua grande mostra. Speriamo che Villa Olmo non faccia la stessa fine del vecchio Partito Comunista.
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