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«New York sembra vulnerabile: senza gente, ha perso la sua anima»

La città vista dalla giovane comasca Camilla Tagliabue

Una New York svuotata e spaventata vive giorni surreali. Un racconto arriva da Camilla Tagliabue, una giovane comasca di 24 anni che vi abita da quasi un anno. Nata a Cantù, ha frequentato la facoltà di Giurisprudenza all’Università Bocconi di Milano e oggi lavora come stagista in uno studio legale di New York. Insieme al suo compagno ha fotografato scorci della Grande Mela che in questi giorni di lockdown ha cambiato volto.

Camilla, come vive questi giorni a New York?«Come quasi tutti coloro che abitano in una grande metropoli sto vivendo questa quarantena in un piccolo appartamento di pochi metri quadri e con quasi nessun contatto con la poca natura che ci circonda. Ciò nonostante, mi ritengo tra i fortunati. Ogni giorno mi sveglio a fianco del mio ragazzo e ogni giorno il suo cane Tim ci consente di poter uscire e fare una passeggiata per poter rinfrescarci la mente e i vari pensieri. Ci sono giorni positivi e giorni dove l’umore non è il massimo. Ci sono anche giorni dove questa situazione sembra surreale. Tra tutte le cose, devo ammettere che mi manca il viaggio da casa al lavoro tutte le mattine. Quel viaggio mi consentiva di prendere tempo per me stessa, per riflettere sulla giornata che mi aspettava, incontrare mille volti e assaporare una città in continuo movimento. Una città che non si ferma, o meglio dire, che non si fermava mai. Invece oggi il mio viaggio per andare al lavoro consiste dalla camera da letto alla cucina. Non ho più la possibilità di incontrare quei mille volti, non ho più la preoccupazione di perdere la metro e non arrivare in tempo al lavoro. Come la mia routine si è arrestata inaspettatamente, così anche la città che mi circonda. Nell’arco di pochi giorni, tutti i miei bar e ristoranti preferiti hanno chiuso. La città ha visto l’impatto devastante di questa epidemia che ha comportato il passaggio da avere strade completamente piene ad essere quasi un deserto. Una città che alcuni giorni non si riconosce. Silenziosa, con poche macchine. Si ha la possibilità addirittura di sentire gli uccelli fischiettare. Tuttavia, questo senso di silenzio e pace ogni tanto scompare e la città, purtroppo, ritorna a vivere quasi a pieno ritmo. Soprattutto quando esce il sole, la gente si dimentica della situazione in cui ci troviamo e mette da parte le paure. Ora più che mai New York è una città imprevedibile, che non sempre rispetta le regole ma che, nonostante ciò, alle 7 di sera si riunisce in un unico applauso per supportare coloro che salvano vite e che ci restituiscono quel pizzico di normalità di cui abbiamo bisogno».Che cosa l’ha colpita di più visivamente ma anche umanamente?«Come si può notare dalle foto che sono state scattate dal mio ragazzo mentre stavamo portando a spasso il cane, quello che ci ha colpito di più è il fatto che una città sempre in movimento, piena di volti, cultura, musica e rumore, ora si è ridotta ad essere circondata dalla pace, dal silenzio e dai rumori della natura. L’assenza della folla per le strade ha cambiato completamente la città, facendone emergere la vulnerabilità. Nonostante sia rimasta bellissima e affascinante, c’è la percezione che New York abbia perso la sua anima. Difatti, New York è molto di più che grattacieli, cartelli pubblicitari, Central Park. New York si identifica nella gente. Passeggiando per la città è vero che si ha la possibilità di scoprire nuovi aspetti ed essere affascinati da una bellezza nuova e diversa, tuttavia, allo stesso tempo si percepisce la tristezza, l’amarezza e il dolore di una città che ha perso la sua gioia, i suoi colori e la sua energia. In aggiunta, passeggiando per le strade, si percepisce anche la lotta interiore di ogni singola persona tra la volontà di combattere questo virus, stando a casa e supportando coloro che salvano vite e operano nell’ambito sanitario (tramite applausi, manifesti, striscioni, scritte e cartelloni) e la voglia di uscire e vivere la propria normalità come se nulla fosse».

Il sito delNew York Timesha pubblicato di recente un drammatico reportage dalla provincia di Bergamo che documentava con immagini e racconti la tragedia che si vive in Italia. Pensa che negli Usa ci sia una percezione diversa della pandemia rispetto all’Italia?

«Innanzitutto è importante tenere in considerazione che gli Stati Uniti sono un paese molto vasto. Un paese pieno di contraddizioni.  Un Paese, la cui popolazione, cultura ed educazione cambia completamente da Est a Ovest.  Pertanto, questo comporta che non vi è un unico approccio o idea per quanto concerne Covid-19.  Basta pensare, che nel momento in cui negli Stati Uniti si incominciava a percepire la paura dell’arrivo del Coronavirus, ogni singola città, provincia e addirittura stato, ha adottato approcci e preso iniziative completamente diverse per combattere questo nemico.  Questa diversa percezione non ha coinvolto solamente la burocrazia, ma anche la popolazione di ogni singolo Stato.  Per esempio, in stati come la California e New York, i cittadini hanno accettato le restrizioni relative alla possibilità di viaggiare e spostarsi per la città e le relative conseguenze economiche (chiusura della maggior parte delle attività commerciali e perdita dei posti di lavoro).  Dall’altra parte, invece, ci sono stati come Michigan, Texas, Ohio e Maryland, in cui la popolazione e’ scesa per le strade a protestare al fine di ottenere la “liberazione” dello stato da questi ordini di “lockdown” e “stay at home”. In aggiunta, un altro elemento che evidenzia la diversa percezione di questa pandemia da parte degli Stati Uniti rispetto all’Italia, è dato dal fatto che la categoria di persone così dette vulnerabili non è determinata solo in base all’età.  Come e’ stato anche sottolienato da Alicia Keys e tanti altri durante il concerto di ieri organizzato dall’organizzazione Global Citizen, la vulnerabilità viene determinata anche alla luce dello status economico-sociale».

Come vede il suo futuro, pensando anche all’impatto economico del Covid-19?«Prima del Covid-19, avevo delle certezze e un progetto per il futuro da realizzare. Sapevo che dopo aver terminato il mio stage mi sarei trasferita a Filadelfia per iniziare il master, per poi cercare lavoro e rimanere negli Stati Uniti per qualche anno. Oggi invece, mi ritrovo con un visto che scade, iscritta a un master e con tante incertezze. Il virus ha decisamente impattato non solamente su economia, salute e vita di tutti i giorni, ma anche sul futuro e i sogni di ognuno di noi. Pertanto, sinceramente ad oggi non so rispondere. Ci sono tante incertezze e il mio futuro lo vedo in continuo cambiamento. Ma sono pronta più che mai a qualsiasi sfida. Sono pronta a reinventarmi, se necessario».

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