«Non siamo negazionisti», ripetevano a turno. Erano una cinquantina. E si (auto)definivano «gli unici ad aver capito qualcosa». Como, piazza Verdi. Sabato pomeriggio. All’inizio c’erano più poliziotti che manifestanti. Poi, alla spicciolata, sono arrivati. Subito ha preso la parola una donna, uno dei pochi partecipanti dai toni relativamente miti, che coordinava gli interventi e invitava la platea a non inveire contro i giornalisti. Tra le prime parole, è emersa qualche legittima e sacrosanta preoccupazione sul lavoro e sull’andamento dell’economia, sull’impatto delle chiusure sulla vita sociale ed economica del Paese. Poi, però, è partita una girandola di tesi bizzarre e fantasie complottiste. I tamponi? Inattendibili. «Possiamo farle una domanda?», chiediamo a uno dei più agitati contro l’informazione. Risposta: «No, perché non credo ai telegiornali».
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