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Paolo Conte a Carimate nei ricordi di Mussida

«Carimate, bel posto e bei ricordi. Bel disco» aveva dichiarato al nostro giornale un paio di settimane fa il cantautore Paolo Conte, atteso in concerto a Lugano il 24 agosto a cinquant’anni dall’uscita di “Azzurro” cantata da Celentano. Conte aveva rievocato sul “Corriere di Como” l’incisione di “Un gelato a limon” nella primavera del 1979, allo Stone Castle Studio al castello di Carimate, soffermandosi in particolare sul lavoro del batterista Walter Calloni. Era il terzo lavoro della discografia di Paolo Conte e rappresentava una svolta per l’avvocato cantautore astigiano. C’erano anche Franco Mussida alle chitarre e Patrick Djivas al basso, più altri celebri musicisti come Flaco Biondini storico, chitarrista di Francesco Guccini, Renè Mantegna alle percussioni, Gianni Zilioli alla fisarmonica e glockenspiel.Tra le canzoni, la celebre “Bartali” e nello studio di registrazione a fianco c’era invece Eugenio Finardi che stava registrando “Rokkando Rollando”.Abbiamo chiesto a Franco Mussida che atmosfera si respirava allo Stone Castle, fucina di dischi mitici come “Creuza de mä” di Fabrizio De André. «Si registrava per lo più in presa diretta, con i banchi di regia analogici fare tagli era complicato anche se si registrava su 24 piste. Allo Stone Castle, che fu un luogo ad alta tecnologia, erano di casa figure di riferimento come il tecnico del suono e produttore Allan Goldberg che era di una sensibilità e genialità particolari. L’ambiente del Castello sede dello studio di registrazione era magico, si sono vissuti incontri molto belli».L’anno successivo al disco con Conte la Pfm incise proprio allo Stone Castle uno dei suoi album di riferimento, Suonare suonare. Come è stato fare musica con Conte? «Allo Stone si respirava un’atmosfera bellissima – ricorda Mussida – di grande fratellanza e sincerità e questo lo ricordo proprio nelle registrazioni per il disco di Conte. La cosa più bella che mi ricordo è che c’era da parte di tutti la disponibilità a suonare con il massimo della naturalezza. E chi incarnava al massimo grado questo valore era proprio Paolo: sapeva benissimo di non essere né Leonard Bernstein né Arturo Benedetti Michelangeli, e suonare accanto a musicisti con una certa attitudine alla precisione come eravamo noi a volte lo imbarazzava un po’, era molto bello quando arrossiva. E questo voleva dire che avevamo di fronte una persona cosciente del suo rapporto con la musica e della sua identità. Paolo si calava in modo totale in quello che faceva ed era un piacere osservarlo nella costruzione delle sue canzoni». «Quel disco – prosegue Franco Mussida – è nato partendo dalla sua idea di album e poi è stato costruito con l’apporto musicale di tutti noi. Paolo è arrivato con delle strutture di base e i relativi accordi ma poi tutto è nato a Carimate, in un interplay tra tutti noi musicisti che era qualcosa di magico e bello. Quando partiva la musica si respiravano leggerezza e profondità assieme».Da 35 anni Mussida lavora con i giovani e li forma nel suo “Centro Professione Musica” di Milano. «I ragazzi sono cambiati nel modo di vestire e acconciarsi i capelli – dice – ma la vera passione per la musica non è mai cambiata. Se non in una cosa: un tempo per loro misurarsi con il suono era un bisogno intimo ed espressivo importante. Poi col tempo è diventato un fatto più esteriore, in cui il ritmo e la voglia di raccontare hanno assunto un ruolo preponderante: prima con i cantautori e in tempi recenti con i rapper».

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