C’è chi ha paura del dolore e chi dell’anestesia per eliminarlo, chi teme di non essere abbastanza forte e chi si dichiara pronta a sopportare tutto, chi è condizionata da esperienze precedenti e chi è spaventata perché non sa cosa l’aspetti. Alla fine, qualunque sia stato il percorso, il viaggio si conclude, per dirla con Osho Rajneesh, «con la nascita di un bambino e con la nascita di una madre, che non è mai esistita prima».
Le esperienze di oltre 600 di queste mamme sono state raccolte e analizzate in modo dettagliato e inedito da un’ostetrica dell’ospeda – le Valduce, Lucrezia Romiti, che ha effettuato una ricerca «per dare voce alle donne e per comprendere più a fondo quale sia il vissuto di coloro che decidono di richiedere l’analgesia epidurale in travaglio».
Un’indagine che non ha tanto fini statistici, ma si propone soprattutto, partendo proprio dalla testimonianza diretta delle mamme, «di indirizzare e correggere l’assistenza ostetrica», come spiegano la stessa autrice dello studio e la capo-ostetrica Cristina Pezzin. Un primo risultato concreto è stata l’introduzione, da parte degli anestesisti, di una nuova tecnica per la somministrazione dei farmaci durante il travaglio, innovativa rispetto a quella tradizionalmente utilizzata.
Il questionario ha coinvolto 608 donne che hanno partorito al Valduce tra gennaio e novembre dello scorso anno. Oltre il 90% delle future mamme conosce le tecniche di partoanalgesia, anche se meno della metà ha fatto la visita pre-parto con l’anestesista. Rimane una quota consistente di donne che sceglie di ricorrere a tecniche non farmacologiche – dalla musicoterapia al massaggio – per alleviare il dolore. Tra chi sceglie di affidarsi all’epidurale, la soglia del dolore indicata nel questionario scende da 8 a 2. La ricerca evidenzia tra i vari aspetti il ruolo determinante delle ostetriche non solo nel parto naturale ma, sempre più, anche accanto alle donne scelgono di affidarsi all’analgesia.
Anna Campaniello
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